Avevo recensito l'esordio omonimo dei genovesi
Temple of Deimos (2010, Elevator Records), segnalando la loro onesta attitudine fuzz-stoner ancora un pò acerba e palesemente debitrice ai paladini del genere. Disco sincero nella sua devozione allo stile prescelto, ma piuttosto derivativo ed un pò carente di vera personalità. Successivamente è uscito "Work to be done" (2014, Go Down), che palesava decisi miglioramenti nelle soluzioni pur restando fedele e coerente alla direzione del capitolo precedente. Da quel momento, però, il trio ligure è scomparso dal mio radar.
Otto anni dopo mi trovo ad ascoltare questo "
Heading to Saint Reaper", pubblicato da
Argonauta, notando che la formazione italiana ha messo a segno vistosi progressi ed un deciso salto di qualità generale.
Il sound rimane fermamente ispirato alla scuola americana dei primi QotSA, dei Fatso Jetson, dei Masters of Reality, un saturo robotic-rock che spolvera di coloriture melodiche un tessuto pulsante e rugginoso molto "desert sessions". Però emerge una impronta personale assai più marcata, una voglia di osare e sperimentare che dona freschezza ai brani, una tempratura maggiormente rocciosa ed aggressiva che si alterna ai passaggi dalle coloriture psichedeliche.
Certo, gli omaggi ai grandi nomi rimangono facilmente identificabili: uno strumentale tagliente e nostalgico come "
Yawning girl" sembra composto da Mario Lalli in persona, mentre il tiro rabbioso e dissonante di "
Deadly lines" è più Homme-iano di quanto prodotto dai Queens of the Stone Age negli ultimi anni. Resta il fatto che si tratta di brani molto ben fatti, incisivi, ricchi di energia e dinamismo strumentale ragguardevole. Lo stesso si può dire di un episodio acido e poderoso come "
Bad time choices" che mostra connotati molto più scandi-stoner (sul genere Greenleaf o Dozer) per quell'atmosfera aspra e malinconica che accompagna linee musicali rocciose. Brano dal passo trascinato, molto fuzz ma anche assai sognante e lisergico.
"
Elvis aaron stoner" è invece un divertente rock'n'roll desertificato alla Eagles of Death Metal dall'attitudine punkeggiante, mentre l'incedere sinuoso di "
Saint reaper waltz" risulta debitore al rock polveroso ed onirico dei Masters of Reality.
Pienamente robotica la spigolosa e sferzante "
Melancholia", con un tiro incalzante che esalta l'esperta compattezza del trio, così come accade in "
Gianni", altra canzone che non può non far pensare ai Kyuss e a tutto quello che è venuto dopo. Frangenti nei quali i liguri si disimpegnano con efficacia, inserendo anche qualche accenno di post-rock e noise, ma rimane comunque netta l'impronta dei loro punti di riferimento stilistici.
Buona prova per i
Temple of Deimos, ulteriormente maturati dopo la lunga pausa. Il disco scorre bene, con canzoni solide e ben eseguite. Energico robot-desert-psych-stoner, prodotto con passione e competenza. Resta ancora ben presente l'eco dei maestri del settore, compensato da genuino entusiasmo e songwriting di valida fattura.
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