Kerion - Cloudriders: Age Of Cyborgs

Copertina 4

Info

Genere:Power Metal
Anno di uscita:2022
Durata:53 min.
Etichetta:Beyond the Storm Productions

Tracklist

  1. RIDERS THEME (AGE OF CYBORGS)
  2. NOVA PRIME
  3. THE MISSION
  4. RED SQUAD
  5. ONE WAY LOVE
  6. THE DESERT
  7. NOWHERELAND
  8. FINAL RACE
  9. VIRTUAL RHAPSODY
  10. ALERT
  11. CYBORG HUNT
  12. BEFORE THE STORM
  13. GLOBAL ANNIHILATION
  14. ELECTRIC REQUIEM

Line up

  • Stéphane Papasergio: bass
  • Rémi Carrairou: guitars (lead, rhythm)
  • Flora Spinelli: vocals

Voto medio utenti

Se questa è la nuova frontiera del (symphonic) metal allora, vi prego, uccidetemi in questo preciso istante!
Preferisco farla immediatamente finita, piuttosto che essere complice di tale scempio!

Andiamo con ordine.

La quinta uscita discografica dei francesi Kerion, corrisponde al terzo atto del loro concept, intitolato Cloudriders. Quest’ultimo capitolo, contraddistinto a sua volta dal sottotitolo Age Of Cyborgs , già dall’artwork, si presenta come un lavoro che più “PLASTICOSO” e artificiale non si può!

Si tratta infatti di un disco assolutamente brutto, privo di sostanza e di cuore, infarcito oltretutto di aberranti elementi elettronici che si fondono, in maniera del tutto sconclusionata peraltro, con opulenti registrazioni orchestrali moderne, caratterizzate da fastidiosi suoni futuristici che lasciano sconcertati. Come se non bastasse, ciliegina sulla torta, spesso sono presenti basi ritmiche riprovevoli, quasi da “disco-dance”, più adatte per la consolle di un videogioco, piuttosto che per la nuova fatica discografica di una band metal.

Insomma, in questo Cloudriders: Age Of Cyborgs tutto, o quasi, va storto.
A salvarsi dalla mediocrità generale è probabilmente solo il pur bravo chitarrista Remi Carrirou che, tramite qualche virtuosismo, cerca di sollevare il livello qualitativo di qualche composizione, ma purtroppo, anche i brani più riusciti come Red Squad, Nowhereland o Global Annihilation, finiscono alla lunga per essere penalizzati da un sound eccessivamente artefatto, tutto fumo e niente arrosto.
Le tracce tendono a somigliarsi vagamente un pò tutte (e questo aspetto ci può anche stare, considerando che si tratta di un concept), ma sono obiettivamente banali nelle loro linee melodiche. Perfino la ballata One Way Love, che in qualche modo spezza l’andamento lineare dell’album, si rivela monotona e priva di pathos e non sono sufficienti nemmeno alcuni refrains dal sapore vagamente epico, tuttavia deboli, o qualche assolo riuscito di chitarra, che però viene gettato a casaccio nel mezzo di quelle tracce dotate di maggiore potenziale, a invertire la tendenza di un disco che non convince mai. A dominare in maniera netta, come già detto, sono sempre le orride sovraincisioni elettroniche e le manipolatissime orchestrazioni che la band, dal canto suo, tenta di rendere più digeribili (con scarsissimi risultati) attraverso delle linee vocali estremamente melodiche, affidate alla cantante Flora Spinelli, mancando tuttavia clamorosamente l'obiettivo finale.

Mi dispiace, ma proprio non ci siamo!

Sia chiaro, non nutro alcun pregiudizio particolare nei confronti dei Kerion, ci mancherebbe, semplicemente non riesco a concepire questa visione eccessivamente artificiale di un sound studiato squisitamente a tavolino e partorito in gran parte da un computer. Non posso proprio accettarlo, in particolare nel metal, corrente musicale che dovrebbe prendere le distanze dal piattume circostante, distinguendosi per la sua spontaneità, la sua corposità, per il sudore e l'anima, oltre che per le capacità tecniche, dei suoi interpreti. Qui c'è veramente poco o niente di tutto questo.
In altre parole, tornando al discorso iniziale; se tale è il futuro del metallo power-sinfonico, preferisco rifugiarmi nel passato glorioso di questo genere e mi guardo bene dal volgere le mie attenzioni verso queste bands provenienti chiaramente dalla insopportabile “scuola amaranthiana”

Sono troppo rigido?
Sono ormai solo un vecchio rimbambito fanatico che vive perennemente nel passato e lo rimpiange?

E’ vero, lo sono. E ne vado fiero!







Recensione a cura di Ettore Familiari

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