Americano di nascita ma canadese di adozione (anche dal punto di vista professionale), possiamo tranquillamente considerare
Ian Blurton un autentico veterano della scena
rock ad ampio spettro, forte di numerose e variegate presenze sia come musicista (Change of Heart, C’mon, Public Animal) e sia nelle vesti di produttore (Cursed, Tricky Woo, Weakerthans, Cauldron).
La sua nuova avventura musicale “in prima persona”, denominata
Ian Blurton’s Future Now, propone un’interessante miscela tra psichedelia,
doom e
hard n' heavy e sebbene gli ingredienti sonori non siano oltremodo “temerari” il risultato finale è altamente consigliabile a chi si abbevera costantemente alla immarcescibile fonte di Black Sabbath, Blue Cheer, Captain Beyond, (primi) Judas Priest, Pink Floyd e B.O.C.
Il
sound che scaturisce dai solchi “
Second skin” appare ovviamente interessato alla celebrazione della storia del genere e tuttavia riesce a non infastidire con eccessi rievocativi, grazie ad un approccio che amplia i confini della propria ispirazione (a volte affiorano, per esempio, scampoli di certe forme di allucinazione sonica care ai Jane's Addiction) mantenendo in maniera costante un elevato potere evocativo.
Il punto di forza del gruppo è la capacità di impastare di cariche lisergiche strutture musicali sempre piuttosto fruibili, proprio come accade nella fascinosa
opener “
Like a ghost”, che può ricordare una collaborazione tra Thin Lizzy e U.F.O. entrambi sotto gli effetti di
funghetti particolarmente inebrianti.
La
title-track fonde i
Sabs versione
Ozzy, gli Imperial State Electric e i Pink Floyd, “
The power of no” appesantisce i toni fino ai limiti dello
stoner, mentre con “
When the storm comes” la
band aggiunge un tocco esotico al suo canovaccio espressivo, per poi esplodere, in “
Orchestrated illusions”, in un caleidoscopio di colori iridescenti, sostenuti da un possente motore ritmico.
“
Denim on denim” riprende a sfruttare soluzioni armoniche più immediate e lineari, ma personalmente preferisco i
Ian Blurton’s Future Now quando a prendere il sopravvento è la loro indole maggiormente frastagliata, multidirezionale e visionaria, dominante in “
Beyond beholds the moon” e nella conclusiva “
Trails to the gate/Second skin reprise”.
Le ultime notazioni della disamina la riserviamo a “
Too high the sky”, un frammento di fosca malinconia pervaso di notevole forza d’attrazione, e al suggestivo
cover artwork di
Jeremy Bruneel, a completare il giudizio ampiamente positivo su un lavoro che non mancherà di soddisfare gli appassionati del settore.
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