Vi era piaciuto “
Afterlife”? Avete gradito il nuovo corso dei
Sunstorm pilotati da
Ronnie Romero, divenuto il timoniere vocale del gruppo dopo l’esclusione (non senza polemiche …) di
Joe Lynn Turner, originale nocchiere di questo “progetto” di lunga data di casa
Frontiers Music?
In caso di risposte affermative al breve questionario iniziale sono sicuro apprezzerete anche “
Brothers in arms”, un disco che ancora una volta si abbevera alla fonte di Rainbow, Deep Purple e Whitesnake per tentare d’imporsi nel convulso
rockrama internazionale contemporaneo.
Poche, infatti le differenze sostanziali tra quest’albo e il suo predecessore, riconducibili in un avvicendamento chitarristico (
Luca Princiotta prende il posto di
Simone Mularoni) e in un modesto (sicuramente inferiore a quanto mi aspettavo leggendo le note promozionali a supporto dell’uscita) incremento della quota sonica tipicamente
adulta, ancora una volta posta in minoranza rispetto ad un approccio di stampo
hard-rock.
Del resto,
Romero in tale ambito espressivo trova la sua brillante
comfort zone e forse è proprio questo agevole allineamento ad un canovaccio ampiamente consolidato a rendere l’opera nel suo insieme di certo molto gradevole e tuttavia fin un po’ troppo prevedibile e indolente.
Insomma, a mancare nel programma è quella “scintilla” in grado di innalzare prepotentemente, anche in presenza di suoni molto popolari, il livello di coinvolgimento emotivo, e se per ricevere una “scossa” importante bisogna attendere l’affascinante “
Taste of heaven” e il ritornello viscoso di “
Hold the night”, forse qualcosa in sede compositiva non ha funzionato in maniera perfetta.
Il resto, come detto, è un competente concentrato di
hard melodico ottimamente eseguito e interpretato, capace di emergere con una certa decisione dalla massa dei “restauratori” del genere grazie soprattutto alla passionale linea melodica di “
Games we play”, alla pimpante
verve radiofonica di “
I will remember” e alla pulsante “
Miracle”, da aggiungere allo slancio di “
Lost in the shadows of love”, tra le più riuscite celebrazioni Rainbow-
iane dei tempi recenti.
Non male, infine, lo
slow “
Back my dreams”, che paga il tributo alla categoria “canzone che crea l’atmosfera” con (oltre all’immancabile eccellente prestazione canora) buongusto e classe.
In sede di commenti finali, non mi rimane dunque che ribadire il valore di “
Brothers in arms”, un
album che non aggiunge e non toglie nulla alla
Storia del Rock e si lascia ascoltare, assodati i presupposti introduttivi della disamina, con ampia soddisfazione.
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