Dopo il passaggio dei
Katatonia alla
Napalm Records era più che logico aspettarsi che anche l’altra creatura del duo A
nders Nyström/Jonas Renkse, i
Bloodbath, si accasasse presso l’etichetta austriaca lasciando la
Peaceville con la quale avevano dato alle stampe gli ultimi tre lavori sulla lunga distanza.
L’esperienza del chitarrista dei
Craft,
Joakim Karlsson - il quale è stato responsabile di del taglio black di alcuni brani in “
The arrow of satan is drawn” – si è rapidamente conclusa, ed è stato prontamente sostituito da
Tomas Åkvik - già ascia degli svedesi
Lik, nonché conoscente di vecchia data dei Katatonia in quanto ha suonato per qualche anno live nella band – band, quest’ultima, che ha saputo ritagliarsi il suo spazio all’interno dell’affollata scena death metal gialloblu.
Giunge quindi fra noi, rispettando una precisa cadenza quadriennale,
“Survival of the sickest”, fatica numero sei del quintetto scandinavo mediante il quale i
Bloodbath continuano la loro navigazione nei mari del death metal con la consumata sicurezza di capitani di vascello di lungo corso, in grado di destreggiarsi fra le insidie delle tante sfaccettature del genere.
Date queste premesse è inevitabile che l’ascolto di
“Survival of the sickest”[/U] (a proposito: chi ha scelto il font ed il colore blu del titolo? Lo zombie sulla cover?) scorra via liscio senza alcun intoppo, senza farci aggrottare le sopracciglia per aver ascoltato qualcosa di diverso da ciò che ci si attendeva.
Di buono c’è che Nick Holmes è davvero a suo agio dietro al microfono - il duo Nyström/Åkvik gli ha confezionato dei brani su misura per il suo stile – e che la tripletta iniziale è davvero succosa eche le sfuriate dei [B]Bloodbath non si limitano e non si vogliono limitare ai canoni dello swedeath, spaziando invece a 360° ed in piena libertà all’interno del Death Metal tutto, attingendo a piene mani alle esperienze della scuola d’oltreoceano ma, di contro, la trasmissione delle cosiddette vibrazioni sulfuree/macabre è risulta essere a corrente alternata.
Fa eccezione l’ultima traccia – una delle migliori del lotto a mio avviso -
“No god before me”, dove i ritmi rallentati e tormentati sono di fatto uncini che si piantano sempre più in profondità nella carne. Se i
Bloodbath avessero inserito un paio di brani su questa lunghezza d’onda,
“Survival of the sickest” non solo ne avrebbe guadagnato in varietà, ma si sarebbe candidato ad essere uno dei “dischi da classifica” del 2022.
Fra le mani quindi abbiamo è un buon lavoro, che va spedito con il pilota automatico, e che mieterà molti consensi ma che, a conti fatti, latita di quel guizzo di genuina genialità in grado portarlo al livello, ad esempio, di un
“Grand morbid funeral” uscito qualche anno addietro.
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