Negli ultimissimi anni, sul suolo nord americano, ha preso piede il fenomeno del Native American Black Metal (N.A.B.M.) grazie all'operato di band come Ifernach, Pan-Amerikan Native Front e Vital Spirit che, di fatto, hanno dato vita ad una "scena" fortemente legata alle tradizioni ed alla eredità lasciate dagli Indiani, una delle tante popolazioni che gli amici cristiani hanno contribuito a distruggere.
In questa scena, sin da inizio 2022, è iniziato a circolare il nome di
BlackBraid, progetto solista di
Sgah’gahsowáh, che, grazie ad un paio di video diffusi su YouTube, ha fortemente attratto su di se l'attenzione degli addetti ai lavori, e dei fan, i quali, più o meno all'unisono, hanno decretato l'alto valore del progetto.
L'hype attorno a
"Blackbraid I", debut che esce per
Neuropa Records, era dunque molto alto anche grazie ad un attento battage pubblicitario che ha circondato, e spinto, il gruppo.
Con queste premesse, mi sono avvicinato all'album con molte remore: le probabilità di trovarsi al cospetto di una "farsa", o di qualcosa di risibile, erano, oggettivamente, alte.
I primi ascolti, in effetti, non mi avevano entusiasmato.
"Blackbraid I" mi sembrava un album di melodic black metal come tanti, ne sorprendente, ne quel capolavoro che molti, troppi, avevano osannato.
Tuttavia qualcosa mi ha spinto ad ascoltare le sei tracce del lavoro più e più volte, e, con mia grande sorpresa, la musica di questo debut ha iniziato a fare breccia nel mio animo.
Intendiamoci, non siamo al cospetto dell'album black dell'anno, ma le atmosfere, gli intrecci melodici, la partiture catchy, la prova di
Sgah’gahsowáh dietro al microfono, il suo riffing ricco di epicità, mi hanno persuaso della bontà di un lavoro ben bilanciato tra momenti brutali ed altri molto più accessibili, un lavoro all'interno del quale si sentono echi lontani dei grandissimi Agalloch e che, comunque, si mantiene, sempre, all'interno di un solco ben preciso perché non ha la pretesa di inventare niente o di rivoluzionare chissà cosa.
A ulteriore conferma delle mie sensazioni, mi è capitato poi di leggere un paio di interviste all'uomo dietro il progetto ed ho scoperto un personaggio "vero", assolutamente distante da dichiarazioni di facciata o, peggio, da adolescente incazzato con il mondo, e sinceramente legato al suo territorio, con la semplice volontà, quindi, di rendergli omaggio.
Insomma, una volta capito il messaggio e ascoltato spesso l'album in cuffia di notte, tra mid tempos quasi doom, sparate in doppia cassa, sostenute dal buonissimo lavoro dietro alle pelli dell'ospite
Neil Schneider (anche produttore), piccole concessioni al folk (ottimo il flauto), Natura selvaggia, melodie immediate (quasi "commerciali") ed atmosfere epiche,
"Blackbraid I" si è guadagnato un posto sul mio scaffale dei vinili.
Forse sto invecchiando e sono diventato tenero, o forse ho sangue indiano nelle vene (visto mai), fatto sta che questo suono mi ha emozionato.
Adesso, attendo le vostre opinioni, ed eventualmente, le critiche dei puristi dell'estremo per un disco bellissimo che, forse, non dovrebbe essere catalogato come black metal...
Onore ad una etnia per il cui destino dovremmo tutti vergognarci.