Cara Charlotte,
un anno circa è passato dalla mia
prima lettera. In quella missiva, ti raccontavo del dolore della mia perdita, della perdita di una cantante ed una artista adesso risucchiata nel suo mondo, a sfornare canzoni su richiesta su Patreon e a passare più tempo in servizi fotografici che in sessioni creative.
Un anno è passato, cara Charlotte, e tu mi torni con il secondo volume di quelle "
Tales from Six Feet Under" che fanno tanto death metal nel nome, ma che sono solo il nome del tuo piccolo home studio, dove componi, canti, suoni e programmi tutto tu. E cosa programmi, cosa componi, cosa canti? Piccole melodie pop, elettroniche, suggestive ma così vuote, così poco incisive, così...innocue.
Ora. Io lo capisco che una persona, una artista,
deve seguire le impellenze che la sua anima gli urla dentro; e ci vedo anche una continuità artistica, ci vedo anche un sincero percorso personale, quasi di riscoperta. Ma il dolore che provo nell'aver perso una cantante metal con i controfiocchi, ed aver ricevuto in cambio una wanna-be Tori Amos de noartri, è una sofferenza che sopporto poco.
Per cui, cara Charlotte: la prima volta sei stata tu, stavolta sono io. Questa relazione non può andare avanti, e sono costretto a lasciarti, pur con la morte nel cuore. So che mi dimenticherai facilmente, che i Delain sono già sullo scaffale, e che i tuoi patreons ti circondano di attenzioni e complimenti; ma forse, forse un giorno, ricorderai che razza di artista eri, e forse non ti vergognerai a guardarti indietro. Chissà, magari mi trovi ancora là, ad aspettare; in fondo, è così che vivono i cuori infranti: un occhio che piange, un occhio che guarda indietro.
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