Non fatevi ingannare né dalla copertina un po’ “spiazzante”, né dall’atto d’apertura di “
Butterfly” … gli
Alicate meritano ben più attenzione di quanta si possa intuire da quello che non sarà verosimilmente ricordato come un capolavoro di arte grafica e da un brano,
“I can run”, piuttosto gradevole, ma di certo non pienamente rappresentativo delle qualità di questi esperti
rockers svedesi.
Eh già, perché i nostri fanno parte di quella schiera di
band nate negli
eighties e poi, dopo un lungo periodo d’oblio tornate all’attività agli inizi degli anni 2000, giusto in tempo per vedere le proprie ali artistiche nuovamente tarpate dagli effetti della nefasta pandemia di Covid.
Il rallentamento dei contagi e della morsa sanitaria consente al gruppo di
Jonas Erixon (uno che nel frattempo ha collaborato con Giant, Skills e Sweet Oblivion) di tornare a blandire i sensi di chi ama l’
hard-blues rilegato con l’
AOR, per quella sofisticata mistura che ha in Whitesnake, Bad Company, FM e Foreigner rappresentanti particolarmente prestigiosi.
E allora partiamo proprio dalla voce di
Erixon, “strumento” fondamentale del genere, sottolineando come possieda il
feeling necessario a rendere credibile e coinvolgente la proposta, ottimamente assecondata poi da una chitarra (gestita dal cantante stesso) adeguatamente sensibile e ficcante, da una solida sezione ritmica (
Fredrik Ekberg e
Jesper Persson) e da un tastierista (
Glenn Ljungkvist) dotato di un notevole ed equilibrato buongusto esecutivo.
Dopo la già citata
opener, gli
Alicate cominciano a fare veramente sul serio grazie alla passionalità palpabile di “
My last goodbye”, riuscita interpolazione Whitesnake / Foreigner, e da qui in avanti non smetteranno più per tutta la durata dell’albo di ostentare le doti che, per esempio, restando nella prolifica Svezia, hanno reso gli Snakes in Paradise tra i migliori epigoni di un suono immarcescibile.
Sonorità che non disdegnano un languido approccio “radiofonico”, come accade nella sontuosa
title-track dell’opera, e che sanno anche graffiare attraverso il raffinato vigore di “
Rise once again” o intridere di crepuscolari pulsazioni emotive, nell’eccellente “
Monday”, il proprio coinvolgente tessuto sonoro.
Ariosità e malinconia
pop/AOR contraddistinguono la bella melodia di “
We will get by”, e se nella sbarazzina “
Let it out” sembra quasi di ascoltare un’arguta fusione tra Van Halen,
Bryan Adams e Giant, “
Out of control” torna a soluzioni musicali più mordaci e grintose, senza dimenticare di ammantarle di innata eleganza.
Ancora due frammenti pregni di suggestioni d’ascolto, prima della chiosa finale … una “
Highway” che piacerà sicuramente ai
fans di
Steve Overland (e di
David Coverdale …) e una “
Done for the weekend” che rivisita lo spirito dei Bad Company della fine degli anni ottanta … in entrambi i casi si tratta di eccellenti “celebrazioni”, in cui l’ispirazione è tangibile e l’ammirazione non sfocia nel plagio.
Se vi ritenete amanti del
rock suadente e di classe, non potrete quindi che accogliere “
Butterfly” con grande benevolenza e soddisfazione, senza farvi condizionare da certe apparenze e inserendo il nome degli
Alicate tra quelli ancora capaci di far rifulgere di una luce brillante canoni espressivi ampiamente sfruttati e consolidati.