Terzo album per i retro-rockers
Lugnet, veri alchimisti della rivisitazione hard '70 e primi '80. Nati intorno al 2009, su iniziativa di uno dei più attivi drummer dell'underground svedese
Fredrik Jansson-Punkka (Angel Witch, Witchcraft, Abramis Brama, Count Raven, Wooden Fields, ecc.) e del bassista
Lennart "Z" Zethzon (Clifftones), hanno pubblicato nel 2016 il bruciante esordio omonimo e tre anni dopo l'acclamato "Nightwalker". Dalla fondazione ad oggi la band ha subito diversi cambiamenti di line-up, ora assestata con il vocalist
Johan Fahlberg (dal timbro alla Coverdale) e l'eccellente coppia chitarristica formata da
Matti Norlin (Badge, Urban Clash) e
Micke Linder. Una solidità che si aggiunge alla grande esperienza maturata dai musicisti di Stoccolma, esprimendosi a piena potenza in questo nuovo "
Tales from the great beyond".
Parliamo di un disco dove le influenze sono palesemente quelle dei Deep Purple, dei primi Rainbow, della Nwobhm, con una leggera pennellata Sabbathiana e Zeppeliniana. Stilisticamente vintage, nessun dubbio, ma di primissima qualità per freschezza, idee ed esecuzione. Canzoni di varia impostazione, ricche di groove e grinta, con soluzioni che esplorano le radici dell'hard rock più classico e da ascoltare al massimo volume.
Troviamo quindi la pulsante e galoppante "
Still a sinner", brano hard-metallizato tra Rainbow e R.J. Dio, che coniuga abilmente un tiro roccioso ed incalzante con un sottile retrogusto catchy, cosa che risulta una costante del
Lugnet-sound. Molto intensa e trascinante anche "
In harvest time", un notevole richiamo roccioso ai conterranei Spiritual Beggars, mentre i sette minuti di "
Another world" sono dedicati ad uno slow che alterna passaggi prog-romantici ad impennate hard robuste e sofferte. Una tradizionale agro-ballad, che non contiene sorprese particolari ma assume carattere grazie alla potente prestazione del vocalist e ad una seconda parte tirata ed assai Maideniana.
Groove Purpleiano per l'orecchiabile "
Out of my system", episodio che non sfigurerebbe in qualche radio-rock statunitense, invece "
Eaten alive" mostra la carica aggressiva e melodica di un lavoro della prima nwobhm grazie al lavoro raffinato della coppia di chitarre.
Se "
Pale design" è un pezzo hard robusto ma abbastanza di maniera, la seguente "
I can't wait" esibisce un coinvolgente mood bluesy che fa pensare ai Thin Lizzy o agli Uriah Heep dei tempi d'oro. Grande ritmo, calore, riff incisivi ed ottimi assoli, con un ritornello a presa immediata. Ottimo.
Altrettanto vincente la estesa "
Black sails", pezzone torrido con atmosfera dark che si distende fluida ed appassionata fino all'esplosivo solismo di
Norlin e si trasforma infine in un massiccio doom-metal alla Candlemass. Gli assoli deflagrano sopra una ritmica cupa e battente, contornati da feeling austero e leggermente nostalgico. Altro episodio che ricorda i tempi della nwobhm, sul genere di Grim Reaper o Cloven Hoof, costruito in modo competente e convincente.
Questo è un ottimo disco di hard rock, classico ed ispirato al periodo proto-metallico (diciamo fine anni '70) ma allo stesso tempo ben radicato nella contemporaneità. Canzoni ben fatte, variazioni di buon gusto, eccellente interpretazione da parte della formazione scandinava. Mancano forse un paio di hit da primi della classe, ma nel complesso è un valido lavoro da rockers duri e puri.
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