L'astronave Albatross, partita dalla Terra in cerca di nuovi mondi abitabili per una umanità sovrappopolata e carente di risorse vitali, finisce in una differente dimensione spaziotemporale dominata da spietate creature aliene guidate dal terribile "Green King". Dopo innumerevoli pericoli, sofferenze e peripezie (illustrate nel precedente "II"), gli intrepidi astronauti superstiti riescono a tornare finalmente a casa. Purtroppo per loro, scoprono due fatti sconvolgenti: dalla loro partenza sono trascorsi diecimila anni (ecco spiegato il moniker della band "
10,000 Years") ed il Re Verde ha invaso questa dimensione e conquistato la Terra. Immerso in una natura completamente mutata, dove i lontani discendenti umani praticano misteriosi culti e combattono per sopravvivere contro mega-animali transdimensionali, l'equipaggio ha una sola opzione: riparare l'astronave e ripartire per cercare di saldare la frattura cosmica, riportando la Terra al precedente continuum temporale.
Questa, in sintesi, la sci-fi story narrata dalla formazione svedese in tre capitoli discografici: l'Ep d'esordio, l'album dello scorso anno da me recensito ed il presente episodio finale. Sempre che il trio di Västeräs non decida di espandere ulteriormente la saga più avanti.
Non male come struttura creativa, specie per un vecchio appassionato di fantascienza come il sottoscritto. Però qui non ci occupiamo di un romanzo o di un film, bensì di musica. Quindi, l'impianto sonoro risulta all'altezza di una narrazione così scenografica? Assolutamente sì. Anzi, in questo lavoro gli scandinavi muovono altri passi in avanti verso la collocazione tra i gruppi di notevole rilevanza in ambito metal-sludge-stoner.
Possente, poderoso, con un timbro spiccatamente raw-metal, il sound prorompe dai brani con la forza di un uragano. Tanto per capirci, siamo molto vicini allo stile degli High on Fire, dei primi Mastodon, dei Black Pyramid, ma con un livello di maturità che permette al trio di smarcarsi da analogie troppo pronunciate.
La dimostrazione che i
10,000 Years non hanno timore ad utilizzare influenze ampie, si nota subito nell'iniziale "
Cult axe". Pensate agli Slayer in versione "stonerizzata" e godetevi questa botta di adrenalina pura. Speed-tempo, chitarra granitica, drumming terremotante e voce scandita e urticante alla Araya. Una botta di energia heavy-thrash senza compromessi, cattiva e sinistra come un incubo notturno. Inizio col botto.
Con la seguente "
Megafauna" entriamo nel reame stoner-sludgy: ritmo serrato e soffocante, riff che spaccano ed atmosfera da battaglia campale. Incedere teso, mastodontico, ma ricco di fantasiose variazioni, compresa l'accellerazione finale spezzacollo molto Matt Pike. Una doppietta di canzoni che non concede respiro, due colpi al basso ventre da mozzare il fiato come dovrebbe essere la migliore musica heavy.
Respiro che invece troviamo in parte con "
Desert of madness", titanico sludge-doom. Più sofferta, meno impulsiva, ma ugualmente mammutesca. Qui l'eco dei Mastodon è piuttosto forte (ed anche quello di certi Neurosis), ma il gruppo lo interpreta con eccellente personalità aprendosi anche ad una coda dove riluce il solismo acido di
Erik Palm. Drammaticità, oscurità, ferocia, voce astiosa e tagliente, un episodio che trasmette sensazioni di rabbiosa inquietudine ed oscuro degrado psicotico. Altro colpo al bersaglio.
"
The secret of water" è un liquido intermezzo di quiete che preannuncia la tempesta ormonale di "
The green king rises", da manuale del genere. Una cadenza sludgy terremotante, gravitazionale, distorta e infernale, che può fungere davvero come colonna sonora all'avvento di una devastante entità aliena. Pounding metal di alto livello, con retrogusto stoner malato e tossico. Aspra e rabbiosa la parte vocale, ritmica intimidatoria ed anche qualche spolverata post-psichedelica per completare il tutto. La tensione non cala un attimo in questo lavoro: nulla viene sprecato e niente è superfluo, musica viscerale e impatto da pesi massimi.
Che il trio abbia raggiunto una maturità da nome di punta non è in discussione.
Se "
Il cattivo" si dimostra un altro episodio heavy-bombastico da paura, altrettanto si può dire della monumentale "
Escape from earth" che oltre al riffing atomico presenta anche una seconda parte di esemplare fuzz-sludge-psych da stordimento totale. Le vocals tormentate e lancinanti di
Alex Risberg aumentano il carico di frenetica urgenza del brano, lasciando immaginare l'angosciosa fuga dell'equipaggio dell'Albatross da un pericolo annichilente ed incontrastabile. Episodio dal tonnellaggio implacabile, sferzante e volumetrico come una metal band (io ho colto un vago sentore Voivodiano) ma altrettanto ipergroovy come le migliori formazioni post-doom contemporanee.
Un'altra hit-track conclude questa brillante scaletta: "
To suns beyond" volge lo sguardo allo spazio, al solitario gelo interstellare, grazie ad una struttura decisamente più psych che in precedenza. Aperture meditative e distorti rigurgiti Floydiani rendono questo strumentale un colossale trip da space-odissey, con l'assolo alluvionale di
Palm che si staglia sull'atmosfera lisergico-ritualistica alla Windhand.
Non ho mai nascosto di prediligere gli stili heavy molto pesanti, rocciosi, rabbiosi ed oscuri, magari con l'aggiunta di una bella pennellata fumosa e qualche colorazione psico-seventies. Impostazione che coniuga energia assordante e variazioni ipnotiche e stordenti, una sorta di nutrimento per il corpo e per la mente. I
10,000 Years sono esattamente tutto ciò, quindi li apprezzo davvero molto. Questo disco è una gemma nel suo genere, un concentrato di furia bellicosa ed intelligenza strutturale nonchè un salto di qualità rispetto alle già notevoli produzioni precedenti. Non una canzone sottotono, una morsa heavy dall'inizio alla fine. Sicuramente gli svedesi saranno presenti nella mia top-ten di fine anno.