“
The stage is set. DEATHWESTERN has arrived in a haze of dust, blood and Ennio Morricone grandeur somewhere South of Heaven and West of Hell”.
Delle
bio di accompagnamento ad un nuovo
album, si sa, è lecito dubitare.
In questo caso, per citare un’intervista a
Luigi Garzya resa celebre da “
Mai Dire Gol”, sono completamente d’accordo a metà con il mister: il riferimento alla band di
Kerry King, infatti, appare quanto mai calzante e ben speso; trovo il richiamo al
Maestro Morricone, invece, del tutto fuori posto.
Proprio in questo equivoco di fondo, a voler ben vedere, giace il maggior limite di “
Deathwestern”, un
platter i cui legami con l’immaginario -come avrete intuito- del
far west vengono sbandierati da titolo e
artwork, corroborati dalle selvagge
lyrics… ma in alcun modo rinsaldati dalla componente più squisitamente musicale.
Immagino molti di voi abbiano appena tirato un sospiro di sollievo; dal mio punto di vista, al contrario, sarebbe stato senz’altro preferibile che gli
Spiritworld abbracciassero con maggior convinzione un
concept che rimane monco.
Infatti, nelle -pur valide- tracce che compongono il disco, non si scorge che una sbiaditissima traccia delle atmosfere epiche e polverose del genere cinematografico e letterario di riferimento.
La critica, si badi, attiene principalmente all’equivoco sulla direzione artistica, posto che la compagine proveniente dal
Nevada sa il fatto suo, e riesce a convincere con una miscela di pochi, ma gustosi ingredienti. In sostanza, prendete gli
Slayer più imbastarditi con l’
hardcore… e imbastarditeli ancor di più con il predetto
hardcore. Tant’è.
I rimandi stilistici, credetemi, sono letteralmente lì da ascoltare (in alcuni casi si lambiscono i confini del plagio), ma i Nostri riescono comunque a convincere grazie a composizioni quadrate, cazzutissime, ben suonate e ben prodotte, rabbiose e violente al punto giusto.
A voler cercare il pelo nell’uovo si potrebbe evidenziare la sostanziale sovrapponibilità di molte strutture e di alcuni
riff, così come ci si potrebbe soffermare sulla scarsa incisività e ripetitività di alcune linee vocali, ma si tratta di limiti in qualche misura congeniti alla proposta.
In ultima analisi, in “
Deathwestern” le qualità sopravanzano in modo piuttosto netto i limiti, e sono convinto che gli
Spiritworld posseggano margini di miglioramento e
appeal per ritagliarsi una nicchia in questo affollatissimo mercato.
Allo stesso tempo mi aspettavo qualcosina in più, e mi auguro vi sia maggior voglia di osare a partire dal prossimo
full length.
Attendiamo speranzosi.
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