La pubblicazione nel 2019 di
The Door To Doom chiudeva il proverbiale cerchio in casa
Candlemass, dato che vedeva il ritorno dietro al microfono di
Johan Langquist dopo ben 33 anni, protagonista del primo lavoro della band svedese: il seminale
Epicus Doomicus Metallicus. Da qui in poi avrebbe potuto aprirsi un nuovo ciclo per i doomster ma la fottuta pandemia ha rovinato i piani, non ha permesso di promuovere il disco a dovere e ha lasciato le cose un po’ a metà.
Leif Edling e soci confermano così la squadra vincente del lavoro precedente e tornano oggi con
Sweet Evil Sun, tredicesimo lavoro in studio, un disco che tenta di proporre nuovi brani vincenti nel solco della tradizione ma che non è in grado a raggiungere la qualità mostrata in molte altre occasioni.
Vediamo perché.
La sensazione durante l’ascolto è proprio quella di una certa meccanicità nella costruzione delle canzoni, si sente che i brani sono stati scritti con mestiere ed esperienza raggiunti in una vita di militanza nel genere, ma non riescono quasi mai ad accendersi. Si denota proprio una mancanza di varietà, sentimento, intensità ed emozioni che -lo sottolineo- sono ingredienti importantissimi in una proposta come quella degli svedesi.
A scanso di equivoci ribadisco che non ritengo
Sweet Evil Sun un brutto disco, si ascolta ed ha i suoi momenti piacevoli, è solo noiosetto, poco ispirato, meccanico, e la sensazione che sia stato fatto uscire forzatamente è sempre presente, così come quella di giocare sul sicuro senza prendersi rischi.
Al di là di queste impressioni (che possono comunque essere strettamente personali) quello che oggettivamente si sente è un ripetersi pedissequo di strutture all’interno delle varie canzoni, con un inizio lento, un cambio di riff più pompato, un ritornello più aperto ed arioso, spesso con un filo di tastiere o leggeri cori. Anche la metrica del cantato è quasi pericolosamente sovrapponibile tra un brano e l’altro. Sicuramente
Sweet Evil Sun risulta un disco più immediato e con melodie che rimangono meglio in testa rispetto ai lavori precedenti, è che… manca il cuore.
Esempi?
"Wizard of the Vortex" è un’apertura buona e che presenta tutti gli ingredienti epic-doom tipici dei
Candlemass, suoni crudi e molto puliti senza troppe sovrastrutture, solo con un finale che fa un po’ Queen. La
title track utilizza riff sabbathiani in piena tradizione ma è un po’ dolce e easy sopratutto nel ritornello, semplice, prevedibile, e già al primo ascolto stanca un pochino.
"Angel Battle" mi ha invece convinto, è una delle composizioni più articolate, con qualche riff più in stile metal classico e con una buona prestazione di
Langquist che fino a qui sembrava troppo rilassato e comodo. Gli scricchiolii cominciano ad essere più evidenti con
"Black Butterfly", marziale e minimale, dotata di riff ciccioni ma non in grado di trasmettere emozioni, così come
"When Death Sighs", dal riff iniziale di scuola Iommi, mostra il sostegno di una voce femminile ed un cantato delicato, a volte narrato, ma che manca forse di un arrangiamento più curato. Problemi veri continuano con
"Scandinavian Gods", brano che vuole essere magniloquente e potente con questi dei nordici narrati ma che si ammoscia in modo incredibile nel ritornello. Su
"Devil Voodoo" Johan dimostra ancora di essere un grande cantante sfruttato però non al meglio; il brano è carico ma -ancora- si spegne sul ritornello troppo soft ed accompagnato da cori femminili.
Quasi tutti i ritornelli non funzionano o perché mosci, o per via delle tastiere, o per l’aggiunta di voci femminili. Non per il fatto che siano stati usati questi elementi, ma perché siano stati usati in questo modo, senza abbastanza coraggio. Quando il pezzo dovrebbe raggiungere il pathos, si siede.
"Crucified" mostra l’ottima ugola di
Johan, presenta un inizio quasi folk mentre il ritornello vede l’uso di un wah wah seguire la melodia vocale con un effetto non proprio riuscitissimo e anche le strutture continuano ed essere pericolosamente simili. (Nota a margine, gli arpeggi mi hanno ricordato qualcosa di Fade To Black). Chiude
"Goddess" mostrando nuovamente il ripetersi di schemi e strutture conditi da riff non sempre ispirati.
Quello che rimane dopo diversi ascolti di
Sweet Evil Sun è la sensazione che da una parte non ci sia abbastanza anima doom per colpire la parte emozionale, dall’altra che manchi sufficiente melodia classic-heavy per lasciare davvero il segno sotto l’aspetto melodico. Ne risulta un lavoro quasi forzato, con riff riciclati, non molto ispirati, e poca convinzione nel prendere una strada e percorrerla fino in fondo, tenendo spesso i piedi in due scarpe.
E’ un peccato perché avevo apprezzato l’equilibrio di
The Door To Doom ed il suo saper essere vario con punte emotive notevoli pur rimanendo attaccato alla tradizione, così some ho sempre amato i
Candlemass attraverso i loro vari cambi di pelle (per dire, adoro
Chapter VI) ma si è giunti oggi ad un punto di stanca e credo sia giusto farlo notare.
Se parlassimo di una band all’esordio andrei a sottolineare gli elementi positivi del lavoro ed il giudizio sarebbe certamente superiore ma con una carriera come quella di
Leif e compagni, a dispetto di un disco formalmente ben assemblato, non posso far finta di nulla e devo far trasparire il mio scontento.