Le collaborazioni tra diversi musicisti, tra diverse band per creare nuova musica all’interno del nostro mondo sono state e sono ancora tantissime, a volte funzionano, altre meno. Quando si fondono le caratteristiche di due o più gruppi queste possono sommarsi, possono creare un ibrido interessante, possono dare vita a qualcosa di totalmente differente o, ancora, partorire qualcosa di assolutamente distante e spiazzare tutti.
Insomma, ne può uscire un gran lavoro o una scoreggia.
Cosa sarà successo, dunque, con i
Mythosphere?
Già, perché questa nuova band statunitense unisce l’abile chitarra di
Victor Arduini (ex-Fates Warning, Arduini/Balich), l’ugola doomish di
Dana Ortt (Pale Divine) e la cicciosa sezione ritmica formata da
Ron McGinnis (basso, Pale Divine, ex-Beelzefuzz) e
Darin McCloskey (batteria, Pale Divine, ex-Beelzefuzz).
Ebbene, cari amici e amiche (?) del metallo, il risultato è un disco abbastanza clamoroso che sta esattamente a metà strada tra il metal classico, il doom ed il metallo epico.
“Equilibrio” è proprio una delle parole chiave che userei per descrivere questo disco.
Le canzoni sono infatti ben bilanciate tra le parti doomeggianti, quelle classicamente metalliche e quelle progressive. Prendete questo ultimo aggettivo con le molle, non ci sono mai troppi svolazzi, fughe strumentali o tempi contorti, ma ci sono quelle alternanze, quelle variazioni di ritmo e di atmosfera giuste che riescono a dare carattere alle canzoni. Questa peculiarità contribuisce in modo fondamentale a fornire una scossa alle composizioni che evitano così la monotonia, la staticità e l’estrema solennità di certo doom. Anche l’elemento epico, accennato poc’anzi, contribuisce con gusto a plasmare i brani senza che questi prendano mai una piega esageratamente eroica/cavalleresca.
Pathological è una commistione sonora che propone canzoni fluide, notturne, morbide e oniriche, in grado di avvolgere l’ascoltatore mantenendo un elevato grado di fruibilità e facilità di ascolto.
Non si ha mai la sensazione di affrontare qualcosa di “duro da digerire” o, dall’altro lato, di “troppo melodico”; è proprio l’equilibrio sfoggiato nel songwriting che sa rendere le canzoni agili ma capaci di nascondere strati emozionali che si rivelano ascolto dopo ascolto. L’aspetto relativo all’heavy prettamente classico è sempre presente ma emerge ogni tanto spiccando sugli altri proponendo momenti più diretti e arrembanti, come è possibile sentire sulla
title track, ad esempio. Una nota che segnalo e che può essere negativa per qualcuno (non per me, evidentemente) riguarda il cantato.
Dana esprime bene la sua personalità ed interpreta i pezzi con convinzione e trasporto ma il suo timbro, il suono della sua voce, potrebbe risultare “ostico”. Non preoccupatevi, non è un castrato che vuole arrivare altissimo, un paperino starnazzante o l’ennesimo baritono ma, diciamo, ha una voce un po’ a trobetta e si sente che a volte arriva molto spremuto e sottile su certi passaggi. Non è una cosa che succede in tutte le canzoni ma solo in alcuni episodi; credo comunque sia giusto segnalarlo e rassicurarvi. Molto buona, pulsante e solida è anche la sezione ritmica, non esageratamente fuzzosa o monolitica ma essenziale per dare una spinta muscolosa alle canzoni.
Fossi in voi dedicherei un ascolto attento a
Phatological, un disco sorprendente e bilanciato in cui
Mythosphere riescono con disinvoltura a presentarci un’alternanza di canzoni che hanno carattere, che pescano dal doom senza andare a chiamare in causa gli onnipresenti Sabbath e Candlemass, che inseriscono parti acustiche, porzioni metalliche, momenti intimi e ricchi di phatos, trovando una via personale sempre piena di gusto.
Ho ascoltato l’album in cuffia, in macchina, allo stereo e, anche dopo oltre venti passaggi, non mi ha stancato e continua ad aprirsi, a rivelare nuovi strati. Non ignoratelo.