Vi siete ripresi (e poi avete pure gradito ...) dal cambio di rotta (anche “estetico”) operato dal mitico
Joe Lynn Turner nel suo "
Belly of the beast"? Si? Molto bene … allora siete pronti anche per gli
Enemy Eyes, in cui un altro campione della fonazione modulata del calibro di
Johnny Gioeli decide di allontanarsi dalla sua
comfort zone (Hardline,
Axel Rudi Pell, …) per dare sfogo alla sua anima più “moderna” (nelle note promozionali dell'opera in questione si dichiara estimatore di Breaking Benjamin, Volbeat, Architects, …), miscelandola con la sua formazione “classica”.
A supportarlo nell’impresa, oltre all’onnipresente
Alessandro Del Vecchio, ci sono
Marcos Rodrigues (Rage), e
Fabio Alessandrini (Annihilator, Bonfire), “gente” che non avrà il
palmares e il carisma di
Peter Tagtren ma garantisce un adeguato contributo a “
History's hand”, un disco che dopo l’iniziale piccolo “disorientamento”, si lascia ascoltare con notevole soddisfazione.
Ovviamente, come in qualche modo già anticipato, per arrivare alle succitate conclusioni non bisogna essere stilisticamente intransigenti e accettare di buon grado il fatto che un grande cantante (era già successo a
Jeff Scott Soto con i con Soto e a
Russell Allen gli Adrenaline Mob, per esempio …) decida ad un certo punto della sua carriera di concedere l’ugola a sonorità più metalliche e contaminate, includendo nello specifico anche l’elettronica, il melodramma sinfonico e il
radio-rock contemporaneo nel crogiolo artistico della sua prestazione.
Fermo restando che adoro il timbro e la duttilità canora di
Johnny, ad emergere in tale contesto è soprattutto la sua spiccata capacità interpretativa, in grado di adattarsi felicemente a tutte le sfumature sonore di un programma dove a farla da padrone, assieme a tale prerogativa, sono le strutture melodiche, sempre attraenti e ben integrate nel contesto armonico.
Un aspetto evidente fin dall
’opener “
Here we are”, brano in cui il clima
symphonic-power viene splendidamente pilotato dalla flessuosa laringe di
Gioeli e da un ottimo
refrain, e lo stesso elemento vincente lo ritroviamo un po’ in tutto l’albo a cominciare dalla successiva tellurica
title-track, una sorta di
gothic-metal intriso di
groove e melodia.
“
Peace and glory” ha un andamento spedito maggiormente “tradizionale”, mentre con “
The chase” le atmosfere sonore tendono a scurirsi sino a lambire “roba” alla BLS, per poi trasformarsi in un manifesto di evocativa inquietudine e catarsi denominato “
Preying on your weakness”, davvero molto suggestivo.
“
What you say” accentua ulteriormente le velleità gotiche, e se “
What I believe” è la perfetta “palestra” per sfogare la strepitosa passionalità del
vocalist italo-americano, la pulsante “
The dream is gone” e l’agile “
The rat race” si manifestano con le sembianze di un
melodic-metal di buona fattura.
Decisamente più sorprendenti si rivelano infine “
The miracle in you” (accattivante arrangiamento elettronico e ritmiche serrate quasi
nu-metal) e “
Broken” (un
trait d’union tra Accept, Primal Fear e … Hardline!), consentendo all’ascoltatore di confermare le notevoli potenzialità espressive degli
Enemy Eyes, nella speranza che la loro brillante ed equilibrata attitudine alla contaminazione non si limiti solamente ad un occasionale “esperimento” intitolato “
History's hand".