Non credo (anzi, so bene di non farlo!) di esagerare quando affermo che i
Memories of A Lost Soul siano tra le band italiane di un certo valore che meno hanno riscosso a livello di apprezzamento e di diffusione del loro nome; certamente hanno la loro schiera di affezionati fan ma di fronte alla qualità che hanno impresso nei loro dischi durante quasi 30 anni di storia avrebbero davvero meritato ben altro riscontro e seguito, perlomeno a livello nazionale.
Ben sette anni ci dividono dal precedente e già ottimo "
Empty Sphere Requiem", un paio di inevitabili cambi nella lineup e giungiamo oggi a "
Redefining Nothingness", un album che potrebbe benissimo rappresentare la summa del loro sound e delle loro influenze, rotanti attorno ad un roccioso e drammatico melodic death metal con molteplici sfumature, da quelle più gotiche e teatrali a quelle maggiormente tirate ed epiche, in cui i tempi vengono brutalmente accelerati ed il growl del fondatore
Buzz si staglia stentoreo in una continua danza tra riff cari alla scuola di Goteborg, assoli taglienti e di taglio epico, evocative tastiere di vampiresche memorie, il tutto amalgamato in maniera sapiente e convincente, senza strappi o facilonerie.
Anzi, la personalità dei Memories of A Lost Soul, veterani che nell'arco della loro pluridecennale carriera hanno vagato e si sono modellati tra il death/black, il symphonic, tra derivazioni progressive e gothic metal, conferisce una qualità ed un carisma acquisibili solo tramite l'esperienza e che i nostri sono riusciti ad infondere nei quasi 60 minuti di "Redefining Nothingness", un album drammatico ed intenso, molto maturo e che saprà ricompensare chi vi si tufferà a corpo morto in un attento e profondo ascolto, come vorrebbe ogni Arte degna di questo nome.
Più che
Rotting Christ,
Cradle of Filth o primi
Moonspell (ed una spolverata di
Type O Negative...) direi semplicemente che questo è un album Memories of A Lost Soul al 100%, appassionante ed emozionante dall'inizio alla fine, con estreme punte di commozione nella doppietta "
The Prometheus' Key" / "The Alien Artifact", contraddistinto da un ottimo sound, arricchito da ospitate funzionali ai brani e non fatte solo per mettere "il bollino" sul disco, chitarristicamente sugli scudi e totalmente comunicativo, mettendo alchemicamente in simbiosi la band con l'ascoltatore.
E, giunti a questo risultato, non si può far altro che togliersi il cappello di fronte ad una realtà indiscussa del panorama metal italiano, e non solo.
Sette anni sono lunghi ma se questi sono i risultati siamo felici di attendere: la musica è eterna, non una moda.
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