Gli svedesi sono nel loro piccolo una formazione ritenuta, non a torto di culto.
I nostri sono una band industrial che sforna lavori intensi e di qualità, questo ritorno discografico ne è l’ennesima prova.
Potrebbe essere la perfetta colonna sonora del conflitto ucraino in corso, perché tramite la loro musica potresti persino percepire l’odore della polvere da sparo come vedere il sangue rappreso sui cadaveri delle vittime.
I toni sono perentori, cupi e marziali; basta ascoltare la titletrack dove percussioni e orchestrazioni fanno da livido contraltare a vocals campionate.
Altro pezzo che desta attenzione è “
Words made of stone”, inquietante con rumorismi e suoni che percuotono l’orecchio; le tastiere fanno da tappeto nerissimo, cupo e che odora di morte.
“
Wreath of oak leaves”, sembra urlare tutta la disperazione e dolore con percussioni dal taglio militaresco; sembra la marcia ineluttabile di una pattuglia pronta a stanare il nemico per non venire sopraffatta a sua volta.
L’orchestrale “
livets innersta vasen” invece è decisamente emotiva; colpisce per il pathos drammatico unito alla freddezza dei campionamenti vocali, qui non c’è salvezza, non c’è luce, solo miseria.
Un grande affresco bellico e belligerante, si capisce bene perché i nostri siano stati collaboratori in un brano dei
Marduk dell’album “
Frontschwein”, perché la tematica nonostante le differenze artistiche è la stessa.
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