...E sono 4!
Quarto sigillo discografico (e che Sigillo!) in poco meno di 6 anni per i
Frozen Crown che, con il loro nuovo
Call Of The North, uscito per la sempre fedele
Scarlet Records, ci regalano un altro lavoro dall’elevato tasso qualitativo, confermandosi cosi, ancora una volta, una delle più belle realtà del metal nostrano e, più in generale, dell’attuale panorama power europeo.
Avevamo lasciato
Giada Etro e
Federico Mondelli nel 2021 con il bellissimo
Winterbane, un disco per certi versi sorprendente, considerando l’autentico “tsunami” che si era abbattuto in quel momento sulla storica line-up della band; oggi li ritroviamo più in forma che mai, forti di una formazione ormai consolidata e sempre più consapevoli delle proprie capacità.
Ma veniamo a
Call Of The North.
L’elemento che colpisce immediatamente di questo album é indubbiamente la sua ispirazione a livello compositivo e, di conseguenza, il forte impatto emotivo che é in grado di trasmettere.
In ogni singola nota del disco infatti, si sente in maniera tangibile, tutta la sofferenza interiore (intesa come passione viscerale) che anima la band in fase di song-writing; questo discorso, chiaramente, riguarda in particolar modo
Federico, la cui penna, man mano che rilascia fiumi di inchiostro, trasformando in musica ciò che l’artista custodisce nel suo profondo (scusatemi se ho ancora questa visione nostalgicamente romantica della scrittura), sembra descrivere ad arte delle immagini funzionali al disco, caratterizzate da ambientazioni tipicamente nordiche, contraddistinte da ghiacci e raffiche di vento freddo che, sferzando il volto e l’anima dell’ascoltatore, mettono a nudo tutte le sue inquietudini più intime, stabilendo cosi, un legame diretto con le emozioni dell’artista stesso.
Diventa quindi quasi impossibile resistere alla seduzione del “
Richiamo del Nord” con i suoi paesaggi magici e, al tempo stesso, malinconici, le sue folate artiche, che iniziano a soffiare forti sin dall’iniziale title-track, per poi calmarsi leggermente, in alcuni brevi frangenti e tornare improvvisamente ancora più impetuose e pungenti, nella poliedrica
Fire In The Sky, nella spigolosa
Black Heart, nella ficcante
Legion, o ancora, nell’epica
One For All.
Le atmosfere glaciali, ben rappresentate anche dall’affascinante artwork, vengono sprigionate in tutto il loro splendore, attraverso delle tracce che si contraddistinguono per un’emotività sempre crescente; é il caso delle toccanti
In A Moment,
Now Or Never o dell’articolata
Far Away, che, grazie alla loro intensità, sembrano raggelare il sangue nelle vene dell’ascoltatore, cristallizzando le sue emozioni e rendendole cosi eterne.
Dal punto di vista squisitamente tecnico, la voce di
Giada si conferma, anche in questo nuovo lavoro, perfetta (ma che ve lo dico a fare!) volando, come sua consuetudine, “dove osano le aquile” e tessendo linee vocali sognanti e malinconiche ma, al tempo stesso, maestose.
Le chitarre, sempre particolarmente incisive, di
Federico e della BRAVISSIMA
Fabiola Sheena Bellomo, sono ovviamente influenzate dal power-speed, in stile Stratovarius/Sonata Arctica (quelli dei primi 2 album, sia chiaro!)/Dragonforce (nei momenti più schizofrenici), tuttavia talvolta, alcuni fraseggi chitarristici, assumono delle connotazioni sinistramente perfide, conferendo ai brani una sferzata di sana malignità e strizzando cosi vistosamente l’occhio al melodic-death nordico.
Ne è un fulgido esempio proprio la title-track, ma in realtà tali contaminazioni estreme, inserite sempre all’interno di una concezione musicale tipicamente power, si possono trovare in diversi altri passaggi ed assoli, inseriti quà e là, all’interno delle varie composizioni; del resto, non potrebbe essere altrimenti, considerando che “il
Mondelli” non ha mai nascosto il suo amore (e come dargli torto!) per i giganti del genere, come In Flames, Dark Tranquillity o i primi Children Of Bodom, quelli dell’indimenticabile “trittico rosso-verde-blu”.
In questa danza di influenze, sonorità e melodie ammalianti, che smuoverebbero anche l’ascoltatore più apatico del mondo, non è certo da meno la sezione ritmica, a cura del chirurgico
Francesco Zof (basso) e del martellante batterista
Niso Tomasini che pesta come un ossesso, ma sempre con classe, mostrando grinta da vendere ma anche, a dispetto della giovane età, una tecnica invidiabile.
Call Of The North si rivela, a conti fatti, un disco veramente bello e particolarmente riuscito, grazie alla sua freschezza compositiva ed alla propria natura perennemente inquieta ma, di fondo, romantica, perfettamente descritta da suadenti linee melodiche racchiuse, a loro volta, all’interno di una struttura che sa essere contemporaneamente aggressiva, poetica, epica e, a tratti, schizofrenica.
Si tratta di un lavoro che ci mostra i
Frozen Crown per quello che oggi rappresentano: una band ormai matura e consapevole che, nonostante gli immancabili detrattori (ma chi se ne fotte!), continua ad inanellare album di qualità, rimanendo sempre coerente al proprio stile, ormai del tutto personale, non disdegnando tuttavia, di arricchire il proprio sound sempre con qualche elemento nuovo, perfezionandosi cosi ulteriormente.
Diciamocelo: ormai i
Frozen Crown sono cresciuti, non sono più dei semplici outsider alle prime armi, ma rappresentano una splendida certezza!
Un difetto? Forse questi ragazzi ci stanno abituando troppo bene...ma, nel frattempo, godiamoceli!