Gli
Obelyskkh sono sempre stati un oggetto strano. La band tedesca è infatti fautrice di una proposta dai confini molto labili e che definire multisfaccettata è quasi svilente. Il loro intento sembra quello di originare il chaos, di suoni, immagini, forme e colori; una deflagrazione che esce dalle casse e che può facilmente lasciare attoniti gli ignari ascoltatori occasionali.
Mi ero occupato di loro una decina di anni fa recensendo
Hymn to Pan, terzo sigillo in studio, ed ero rimasto affascinato da una commistione sonora tanto varia quanto malata ed ammaliante. I tedeschi avevano poi proseguito il loro cammino con un lavoro dalle tinte oscure e dall’incedere lento e monolitico, sempre intriso di quella stilla di pazzia che li contraddistingue sin dal loro esordio, confezionando con
The Providence il loro migliore album. Almeno, per quelli che sono i miei gusti.
Dopo questo breve excursus giungiamo oggi a "
The Ultimate Grace Of God", quinto parto discografico ed oggetto del contendere di queste mie poche righe che posso riassumere sbrigativamente con un adagio ben conosciuto: il troppo stroppia.
L’idea che ci si fa ascoltando
The Ultimate Grace Of God è quella di un’improvvisazione continua dove ogni musicista apporta qualcosa, altri seguono, esagerano, cambiano i ritmi, vengono provati riff e linee diverse ogni giro di lancette e ogni tanto, casualmente anche, le partiture si incastrano nel modo giusto ed è così possibile godere di qualche momento di musica ben riuscito.
In passato il loro mix di doom, stoner sgraziato e momenti molto atmosferici mi aveva affascinato proprio perché erano in grado di farti viaggiare con la mente in mondi paralleli, oscuri e maleodoranti, senza farti mai perdere la strada: la loro proposta nascondeva un sentiero che ti permetteva di non smarrirti e lasciarti guidare nei paesaggi dipinti musicalmente. Questo non succede con
The Ultimate Grace Of God, lavoro in cui partiture atonali, momenti cacofonici, voci filtrate, sovrapposte, progressioni armoniche stridenti vengono riversate continuamente sull’ascoltatore che fatica a trovare un filo conduttore e viene sopraffatto, quasi disgustato, da tanta abbondanza. La lunga canzone finale "Sat Nam [Vision]" sembra essere l’unico episodio in cui, finalmente, i tasselli sonori riescono a sistemarsi e gli
Obelyskkh possono partorire un brano interessante, lineare, ripetitivo, molto dilatato, atmosferico.
Troppo poco però,
The Ultimate Grace Of God non mi ha convinto.
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