Il loro primo
album s’intitola “
The one” ed è stato senza dubbio una delle “buone notizie” del 2020, almeno per quei
musicofili che si ritengono estimatori dell’
hard melodico scandinavo.
La scelta degli di
Arctic Rain di chiamare il nuovo lavoro “
Unity” lascia intendere una sorta di passaggio da un concetto espressivo “unilaterale” e “individualistico” ad uno maggiormente “collettivo” e anche se i nostri in realtà non avevano nemmeno in passato ostentato un approccio particolarmente egocentrico, qualcosa in effetti è cambiato nel loro modo di sviluppare una materia così codificata e popolare.
L’ingresso di due nuovi membri, il tastierista
Kaspar Dahlqvist e il batterista
Richard Tonyson, e la contemporanea defezione di
Pete Alpenborg (elemento piuttosto importante nell’economia compositiva del gruppo), hanno verosimilmente contribuito a rendere il suono degli svedesi più solido e variegato, aggiungendo un velo di attitudine
prog ai principi immutabili del genere.
Un risultato che se da un lato evidenzia il lodevole tentativo di “qualificare” meglio la loro proposta musicale, dall’altro appare a tratti ancora un po’ in uno stato “embrionale”, soprattutto per quanto riguarda il carattere e l’intensità delle strutture armoniche.
L’ascolto del suggestivo brano d’apertura “
One world”, con il suo contagiosissimo
refrain, lasciava presagire sfracelli sensoriali, mentre già dalla
title-track dell’opera, e poi pure con “
Kings of the radio”, la
band sembra volersi affidare, abbassando leggermente il livello di tensione emotiva, a sonorità ampiamente sperimentate, figlie dei Rainbow e dei loro tanti epigoni nordici.
“
Fire in my eyes” è un accattivante fusione tra Bon Jovi, Glory e Journey, e se con “
Peace of mind”, l’ombrosa “
Time for a miracle” e la raffinata “
The road goes on” gli
Arctic Rain diventano credibili alfieri del
prog-AOR, in “
Laughing in the rain” e “
Out of time” ad emergere nuovamente è la tipica perizia nordeuropea nella gestione delle classiche sonorità
adulte, davvero spiccata anche quando si tratta di toccare le corde del
pathos romantico, come accade in “
Believe”.
Il clima arioso e pulsante di “
When we were young” piace senza esaltare, concludendo così le brevi notazioni singole sulla scaletta di “
Unity”, un disco che inocula un pizzico di opportuna dinamicità sonica ad una matrice stilistica di stampo “tradizionale”, trattata con innata classe e
feeling … un percorso intrigante, da ampliare e perfezionare, ma che conferma gli
Arctic Rain tra gli “emergenti” più interessanti del settore.
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