Torni a casa e così, per incanto, ti ritrovi in Georgia, costa sud orientale degli Stati Uniti, dove l'Oceano Atlantico bagna le sue coste, laddove il Tennessee, la Carolina del Nord, la Carolina del Sud, la Florida e l'Alabama ne delineano i confini.
Le linee circolari del vinile, solcate dal calore del puntina, iniziano a dare vita ai riff di basso, al groove delle sei corde, al suono reale dell'Hammond B3 che ripercorre la storia di quella fetta di terra che ha regalato a intere generazioni sogni, speranze e l'idea di un cambiamento socioculturale.
Senti sulla pelle lo scorrere del tempo, la voglia di partire e di non guardare più dallo specchietto retrovisore. Percepisci colori che fanno parte del tuo passato, del tuo presente e soprattutto del tuo futuro. E allora ti lasci cadere, sicuro che tutto questo ti reggerà.
Inizia così il percorso di ascolto di "
You Hear Georgia", il sesto album in studio dei
Blackberry Smoke.
Un classico del Southern Rock intriso di tradizione: un vero distillato di polvere e cotone, di mais e riso, di whiskey e pesche, dove la cultura contadina porta ancora con sé quella genuina sbornia in grado di fermare le lancette del tempo.
Gli inni esistenziali, quei rapporti sempre troppo complicati, cappelli da mandriani e jeans si miscelano con le sonorità folk, country e blues, addensandosi in quell'universo musicale fatto di orgoglio e passione, di suggestioni appartenute ai pionieri del genere.
Nei dieci brani la mescolanza delle chitarre con la sempre suadente e graffiante voce di
Charlie sconfina a più riprese in quei paesaggi dell'America rurale dove prima i Lynyrd Skynyrd, gli Allman Brothers, e poi i Black Crowes, gli Widespread Panic e i Government Mule, segnarono indelebilmente la nascita e la prosecuzione di una cultura musicale divenuta con il tempo dogmatica.
Non curando minimamente le mode che hanno attraversato gli ultimi cinquant'anni musicali, il Sound of the South racchiuso nel sesto album studio dei ragazzi georgiani trova la sua essenza nell'intensa e ardente "
Live It Down", open track dell'album, e nello slide malinconico e struggente di "
Old Enough To Know" (
Un drogato ha bisogno di un ago, un predicatore ha bisogno di un'anima da salvare...); quest'ultima, traccia in assoluto preferita da parte di chi scrive.
Le ballads "
Ain't The Same" e soprattutto "
Lonesome For A Livin'" (che vede la partecipazione della star del country
Jamey Johnson), portano a galla le fasi esistenziali, i rapporti con gli altri, quel confronto con il proprio io dettato da un cammino dove i chilometri percorsi, i luoghi visti e vissuti, fanno da cartina tornasole sul perché dell'esistenza umana: "
Ho vissuto tutti i testi nel bene e nel male, Il bere, l'imbrogliare e il mentire, Beh, immagino di averlo camminato proprio come l'ho parlato...".
E se la morbida "
Hey Delilah", come una macchina del tempo, riporta alle atmosfere della genesi firmata Ronnie Van Zant, "
You Hear Georgia" fa si che le musiche di quei territori, tra cui blues, rhythm and blues, country e gospel, attinte dall'influenza del pesante blues rock dei tardi anni sessanta, dall'honky tonk e dal country di Bakersfield, hanno permesso di creare, in una particolare e distintiva fusione, la traccia omonima dell'opera, dove la penna di
Mr. Starr mette in evidenza quella mentalità che troppe volte, per pregiudizio, ha creato linee di divisione: "
La tua mente è presa comunque, Puoi avere ragione, Se è questo che ti aiuta a dormire la notte, Dicono che vedere è redere, Ma sai che non puoi credere a tutto quello che leggi...".
Nel riffone di "
All Rise Again", con il contributo passionale come co-autore di
Warren Haynes (Gov’t Mule), ci sta dentro tutta l'incognita del periodo storico che viviamo, sposando, in questo caso si, quella modernità sociale in grado di travalicare i confini della Georgia: "
Giorni pazzi ci aspettano, dicono, Un segno di questi tempi o il prezzo che paghiamo, Guardando il mondo da dietro la mia porta, Cercando di aggrapparmi a ciò che spero...".
Il duro, puro, sporco e graffiante groove che spadroneggia nel Rock 'n' Roll di "
All Over The Road", accentua in modo significativo il credo di un gruppo di ragazzi che, macinando chilometri su chilometri, ha saputo penetrare nell'anima di fans e appassionati: "
Cento miglia più in basso, altre cento ancora da percorrere, Sto rotolando costantemente...".
Dalla disillusione di "
Old Scarecrow" (
Se potessimo tornare a vivere e lasciar vivere...), alla speranzosa "
Morningside" (
Non sto inciampando nel buio, Sto solo aspettando il lato mattutino...), si chiude l'ascolto di "
You Hear Georgia", che ha avuto il merito di portare con sé la ricca eredità musicale dello stato Sud orientale degli Stati Uniti, abbinata alla sapiente e geniale produzione dell'indigeno
Dave Cobb.
Con quest'opera gli
Smoke hanno ancora una volta reso la Georgia orgogliosa del suo passato, del suo presente e del suo futuro, come radici che assorbono, sostengono, nutrono. Attecchendo nelle profondità più recondite.
Il suono che rimane dopo l'ascolto continua a vibrare dentro, strutturando la complessità di un viscerale bisogno d’espressione, in un mix di tradizioni, cultura, misticismo.
Ed proprio attraverso questi ingredienti che "
You Hear Georgia" rilascia il desiderio di influenzare, infondere, trascinare, amalgamare. Quel potere di unire, di fissare, di fondare. Il dono, naturale e istintivo, di toccare mente, cuore e anima, senza fronzoli, senza stereotipi da seguire e copiare, con la peculiarità di spogliarsi, di essere, senza paura, sincero e terribilmente credibile.
A cura di Joe Zagari