A tutti coloro che, con aria da saputelli, snobbano il metal italiano, ritenendolo "inferiore a prescindere", rispetto a quello proveniente da fuori, senza un motivo particolare, ma semplicemente perché l’”erba del vicino è sempre più verde”, consiglierei di ascoltarsi con attenzione band come i
Crimson Dawn e forse (ma dico “FORSE”, perché l’ignoranza è priva di coscienza), ci penserebbero bene prima di sparare sentenze prive di fondamento.
Per carità, con questo non voglio dire che tutte le formazioni tricolore meritino la stessa attenzione; la bravura di un gruppo (ovviamente) non dipende dalla sua bandiera di provenienza, ma dal proprio spessore artistico e tecnico e, da questo punto di vista, i
Crimson Dawn, sono una certezza assoluta.
Oggi, la band milanese, guidata sempre egregiamente da
Dario Beretta (per chi non lo sapesse, ma mi auguro siate in pochi, già leader dei
Drakkar), torna sulla scena con la sua quarta fatica discografica,
It Came From The Stars, edita per la
Punishment 18 Records, con una line-up in cui, rispetto al precedente
Inverno, spicca la figura di un nuovo vocalist,
Claudio Cesari (già singer dei
Crawler) che si aggiunge ai soliti
Dario Beretta e
Marco Rusconi alle chitarre,
Alessandro Reggiani Romagnoli al basso,
Luca Lucchini alla batteria ed
Emanuele Laghi alle tastiere.
It Came From The Stars, come si può già evincere dal titolo stesso, è un disco dalle atmosfere epiche e, al tempo stesso oniriche, in cui, poesia, fantasia, romanticismo, maestosità, mistero, esoterismo, ma anche una certa malinconia di fondo, si intrecciano fra di loro, in un perfetto equilibrio musicale che genera un turbinio di emozioni, abilmente descritte da composizioni di livello tecnico ed emotivo molto elevato.
Stilisticamente parlando, il sound dei
Crimson Dawn ha un'evidente impronta epic-doom, riconoscibilissima in tracce quali
The Masque Of Red Death oppure
Of Gods And Mortals, tuttavia, tali sonorità di matrice prettamente sabbathiana non mai sono fini a se stesse, ma sono in continua evoluzione poiché, prima di ritornare sulla strada maestra, esplorano diversi territori, sconfinando addirittura in melodie orientaleggianti, come avviene ad esempio in
Hunter’s Dream o in
Nera Sinfonia (cantata interamente in italiano), in partiture quasi progressive, come si nota nell’articolata
Solace In Death, o anche in richiami maideniani (ma a questo, indubbiamente contribuisce la voce di
Claudio, dotato di un timbro di chiara “impostazione dickinsoniana”), come nel caso di
The Ringmaster o della stupenda traccia conclusiva, intitolata
The Colour Out Of Space, caratterizzata da un impatto emotivo particolarmente intenso.
Lo stile compositivo che anima
It Came From The Stars è molto ricercato (non potrebbe essere altrimenti, considerando la profondità delle emozioni che si propone di sviscerare), ed è indubbiamente ispirato alla tradizione più epica del metal ma, come si diceva prima, non è mai statico e inoltre viene ulteriormente enfatizzato da chitarre e tastiere sempre al servizio di atmosfere solenni, introspettive e misteriose e da una sezione ritmica che alterna momenti più cadenzati ad altri decisamente più sostenuti; il tutto, favorito da una produzione veramente impeccabile ad opera del solito Mattia Stancioiu.
Insomma, a conti fatti, bollare un album come
It Came From The Stars ed una band come i
Crimson Dawn semplicemente con una banale etichetta “epic-doom” è un atto di un’ingiustizia disumana, oltre che risultare assai riduttivo per una formazione che, con questo nuovo disco, conferma il raggiungimento di una dimensione artistica di massimo rispetto.
Ma, del resto, tra Drakkar e
Crimson Dawn, il buon
Darione Beretta non delude mai!