Gli anni '80 non sono stati solo
Dokken,
Ratt,
Bon Jovi,
Def Leppard o
Whitesnake; vi era infatti un foltissimo sottobosco di band che si muovevano tra reale ispirazione e scaltro adeguamento commerciale ed i
TKO facevano sicuramente parte della prima categoria.
Provenienti da Seattle la formazione originale è attiva sin dal '78, ed un anno più tardi registra
Let It Roll con la produzione di
Mike Flicker, famoso per il suo lavoro con le
Heart, un album che risente fortemente e logicamente ancora di un suono seventies, adatto per chi apprezza band come
Godz ma in versione più leggera e con qualche accento blues in più. Dopo il fallimento della Infinity, la loro casa discografica, la band rimane senza contratto. A questo punto la formazione viene completamente rivoluzionata (con il chitarrista
Rick Pierce che se ne va per formare i bravissimi
Q5):
Sinsel, cantante e leader, cerca dei sostituti e li trova negli ex membri dei
Culprit, bellissimo il loro unico album
Guilty As Charged dell'83,
Kjartan Kristofferson (chitarra) e
Scott Earl (basso), mentre il grande
Ken Mary (Alice Cooper, Fifth Angel e House Of Lords) siede alla batteria.
Così nell'84 tornano sulle scene con il buon
In Your Face, su cui la
Music For Nations contava molto visto il buon battage pubblicitario, ma la band rimane invece materia per cultori. Ken Mary esce e viene sostituito da
Michael Alexich e registrano nell'86 questo
Below The Belt che, per chi scrive, rimane il loro fiore all'occhiello, un album più focalizzato e curato di In Your Face. L'album scatta ai blocchi di partenza con
Beware The Hunter che mette subito in evidenza le peculiarità della band, ovvero class metal con tinteggiature glam negli arrangiamenti vocali. È lo stesso Sinsel che con la sua voce roca e sensuale da quel tocco di glam, come confermato in
With My Back To The Wall con la band che produce quel tipico suono anni '80 affine ad esempio anche ad
Adam Bomb (ne riparleremo) di
Fatal Attraction. La title track se fossa stata supportata adeguatamente poteva tradursi in uno smash hit col suo refrain potentissimo (per il genere, ovvio).
Can't Let Go insiste sul tema dell'heavy californiano anthemico, sempre vivace grazie ad ottime ritmiche, mentre
Chains Don't Change ha toni più ribassati e blueseggianti.
Rock n' Roll Remains è un inno programmatico che potrà piacere ai fans degli
Aerosmith di
Done With Mirrors, per me album sin troppo sottovalutato, con un grande solo di Kristofferson.
Seventeen torna a battere sentieri più glam e nel refrain i TKO avvicinano i
Poison dell'esordio, mentre
Doin' Time possiede qualcosa dei
Great White dell'era
Twice Shy per un hard blues di sicuro impatto.
Fallin' To Pieces possiede il miglior riff dell'album ed è la speed song di metallo cromato e, con
Stick N' Stones, si chiude l'album con il tipico stile di Below The Belt perché, malgrado tutti gli accostamenti fatti, i TKO hanno un'anima propria.
Non un capolavoro, ma di certo un buon album per una band che in pochi oggi ricordano ma, per chi vive di heavy d'impostazione californiana degli '80, questo lavoro può riservare gradite sorprese.