Non me l’aspettavo cosi bello!
Chiariamo, a scanso di equivoci:
Tales From The North, edito per la sempre fedele
AFM Records, è il tipico album “alla
Bloodbound”, quindi abbastanza prevedibile nel suo stile ma, rispetto ai precedenti lavori della band svedese, qui c’è molto più cuore!
Pertanto, pur non essendo al cospetto del capolavoro del decennio (e probabilmente nemmeno dell’anno), se siete appassionati di queste sonorità, che obiettivamente oggi hanno ormai ben poco da dire, la nuova fatica discografica dei
Bloodbound potrebbe sorprendervi, riuscendo perfino a stampare, sulle vostre brutte facce da metallari, un sorrisone pieno di nostalgia per gli anni d’oro del genere.
Nulla di miracoloso, né tantomeno innovativo; si tratta del classico lavoro di power nordico, dal sound robusto, ma estremamente melodico e abbastanza diretto, come se ne trovano tanti eppure, a differenza dei suddetti,
Tales From The North suona meglio, per merito di una ritrovata passione musicale che i Nostri riversano nei brani.
Ne beneficia ovviamente la qualità delle composizioni, basate su trame melodiche più convincenti rispetto al recente passato, ulteriormente valorizzate da prestazioni assolutamente prive di sbavature da parte di tutti i musicisti, in particolare dei fratelli
Henrik e
Tomas Olsson alle chitarre e di
Fredrik Bergh alle tastiere che, insieme alla voce, sempre impeccabile, di
Patrik J Selleby conferiscono un’aura leggendaria ai brani, sostenuti, a loro volta, da una sezione ritmica costantemente a doppia cassa, ad opera del duo
Daniel Hansfeldt (batteria)-
Anders Broman (basso).
Il disco scorre piacevolmente, pur attingendo a piene mani dai grandi classici del genere. Evidenti sono i richiami agli Stratovarius (sorprendentemente a quelli più recenti, come avviene per i refrains di
Odin’s Prayer,
Mimir’s Crystal Eye e
Between The Enemy Lines), si trova poi qualche vagito dei soliti Helloween “Keepers Era” (
Sail Among The Dead), o dei primi Sonata Arctica (vedasi la title-track), avvolti sempre da un'atmosfera di nordica epicità (è il caso della vichinga
Drink With The Gods, di
Land Of Heroes o della conclusiva
1066).
Forse, l’unica pecca di
Tales From The North è quella di essere un disco fortemente ancorato ai canoni di un passato ormai terribilmente lontano. Eppure, come ho già scritto in altre occasioni, siamo sicuri si tratti realmente di un difetto? Francamente, non credo sia un peccato riproporre determinate sonorità, specie se queste riescono a emergere in maniera cosi genuina; a maggior ragione quando a farlo sono gruppi come i
Bloodbound che, per questioni anagrafiche, sono figli di quell’epoca gloriosa e quindi si sentono investiti del ruolo di CUSTODI DELLA SACRA FIAMMA che arde ancora in tutti coloro che hanno vissuto quegli anni d’oro.
Ecco perché, alla fine,
Tales From The North è riuscito a stampare un sorriso convincente perfino sulla mia brutta faccia!