La musica come “terapia”, come la necessità di esprimere sé stessi senza filtri o condizionamenti, un rientro sulle scene che sa di impellente catarsi emozionale e di una maturità espressiva magari non ancora del tutto compiuta e tuttavia assai spiccata.
Sono queste le prime impressioni che ricavo dall’ascolto di “
Rebuilding the mountain”, il nuovo albo dei
Royal Thunder che giunge un po’ “a sorpresa” dopo il temporaneo scioglimento della
band, capace di appianare contrasti e divergenze e riproporsi ai suoi estimatori a distanza di sei anni dal precedente “
Wick”.
E se partiamo proprio dal precedente discografico del 2017, l’imponente flusso emotivo e psichedelico che lo contraddistingueva qui trova una canalizzazione maggiormente coerente e lucida, quasi il gruppo avesse “imparato” a gestire meglio le proprie sensazioni e ispirazioni, riuscendo oggi a trasmetterle in maniera parecchio nitida e “naturale” all’astante, fatalmente sedotto da questo scenario sonoro magnetico e “potente”.
La voce di
Mlny Parsonz, già di per sé portentosa per espressività e capacità interpretative, diventa così il “portale” comunicativo attraverso cui gli americani raggiungono nel profondo i sensi del loro pubblico, sfruttando costruzioni musicali sempre tese e vibranti, intrise di melodie incisive e mai banali, destinate a conquistare l’apprezzamento di chi ama il
blues e l’
hard-rock declinati nella loro trasposizione più travagliata, visionaria e sofferta.
Ragionando per “approssimazione”, a tratti si potrebbe in realtà addirittura quasi parlare di una fusione tra una versione “moderna”, disillusa e pragmatica dell’
acid-rock sessantiano e certe inquietudini di retaggio
new-wave, e non credo di poter essere tacciato di traveggole uditive se rilevo in “
Drag me” tracce contemporanee di Jefferson Airplane e
Patti Smith.
“
The knife” è leggermente più lineare e fornisce il tessuto sonoro perfetto alla
Parsonz per spiegare le sue incredibili doti fonatorie, che si scuriscono in maniera davvero suggestiva nella successiva “
Now here no where”, una scheggia di malessere che potrebbe finire per piacere anche agli ammiratori di
Florence Welch.
“
Twice” e “
Pull” aggiungono un suadente tocco
soulful e
rootsy alla raccolta, che si arricchisce di viscerali e ipnotiche languidezze
folk in “
Live to live” per poi esplodere nelle imperiose pulsazioni di “
My ten”, un grumo di
pathos denso e vigoroso.
Non è difficile, poi, farsi ammaliare dall’andamento avvolgente (e vagamente
grungy) di “
Fade”, dal liquido e cangiante esotismo di “
The king” e dalla linea armonica della conclusiva “
Dead star”, che risolve in bello stile il concetto di
rock-ballad vibrante e crepuscolare.
I
Royal Thunder affrontano con approccio intelligente, emancipato ed estremamente passionale i suoni della tradizione, immergendoli nella realtà contemporanea e prendendo le distanze da tanto di quel
retro-rock “conformista” piuttosto diffuso nei tempi recenti … “
Rebuilding the mountain” è un “ritorno” che merita già grande considerazione e che potrebbe pure aprire la nuova fase creativa di uno dei gruppi più promettenti del genere.
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