Gli
Houston non hanno perso il “vizio” di infarcire la loro discografia con
album di
cover e se il primo episodio di questi “
Relaunch” aveva ottenuto il mio consenso, meno interessante mi era sembrato il secondo capitolo dell’operazione, troppo “gigione” e non completamente riuscito nelle scelte (anche stilistiche) dei brani da omaggiare.
Arrivati a “
Relaunch III” devo necessariamente ritornare sui miei passi, accogliendo con favore una nuova raccolta di
remake esposti con squisito buongusto espressivo, prelevati precipuamente da alcune nobili “oscurità” dell’
AOR, dimostrando una cultura e un’attitudine specifica davvero spiccate.
Qualità già apprezzate nelle più recenti uscite “originali” degli svedesi e che lungo la scaletta dell’opera si riallacciano (come già accaduto in maniera evidente nel suddetto primo “
Relaunch”) al filone aureo delle loro fonti ispirative, poi declinate attraverso la personalità di un gruppo da collocare ai vertici artistici del settore.
Insomma, tante belle canzoni frutto di eccellenze del genere spesso poco note, riproposte con devozione, rispetto e quella vocazione e vitalità che solo i “grandi” possiedono, senza indugiare in stravolgimenti non di rado snaturanti e poco efficaci.
E poi diciamo la verità … andare a riscoprire “gente” come
Marc Jordan (musicista, cantante e compositore di rara eleganza, noto soprattutto per la prestigiosa attività di autore per
Rod Stewart,
Diana Ross,
Cher, Chicago, ...), gli Atlantic o gli americani Urgent merita di per sé già un marcato elogio, anche perché “
Slipping away” avvolge l’astante in quel tipico bozzolo
Westcoast-iano che tanto ci piace, “
Power over me” dimostra che anche negli anni novanta c’erano formazioni capaci di sedurre irrimediabilmente il popolo degli
chic-rockers e “
Running back” riporta alla ribalta un assemblaggio di note strepitoso, illuminato dalle tastiere e dalle luci al neon degli anni ottanta (“roba” che ancora oggi vanta svariati tentativi d’imitazione, tra l’altro).
“
Heart of stone” celebra con merito i Blackjack di
Michael Bolton e
Bruce Kulick e a tutti gli appassionati di sonorità al confine tra
pop e
prog è dedicata “
She don’t come around anymore” di
David Pack, un artista sopraffino dalle nostre parti non molto conosciuto (meritevoli di recupero immediato anche gli Ambrosia).
Van Zant e Van Stephenson sono nomi che non dovrebbero mancare nelle vostre collezioni, ma nel malaugurato caso che foste “colpevoli” di tale pecca sono certo che dopo aver ascoltato il crepuscolare romanticismo di “
She’s out with a gun” (dall’omonimo del 1985) e il raffinato contagio di “
Modern day Delilah” (da “
Ritghteous anger”) non potrete far altro che “indagare” ulteriormente su questi strepitosi protagonisti della “scena”.
Non conoscere “
Sound of a breaking heart” (e il suo stratosferico
refrain) dei favolosi Prophet è invece francamente “inammissibile” e quindi sono convinto che non potrete che apprezzare la versione di questo capolavoro sonico offerto dagli
Houston, capaci altresì, grazie alla bella “
Outrageous”, di ricordare al pubblico di riferimento le notevoli qualità espressive di
Franke Previte e dei suoi Knockouts.
Affiancare tracce nuove a tutte queste meraviglie è un “rischio” che gli scandinavi amano correre, dimostrando carisma e convinzione, due elementi che assieme al talento e all’innata sensibilità rendono “
Live forever” e “
Do you believe” (
featuring Michael Palace) due eccellenti frammenti
adulti degni di cotanto accostamento e di una parabola artistica “in prima persona” di inappellabile rilevanza.