"Well done
Veritas!"
Seconda fatica discografica, marchiata
Sliptrick Records e intitolata
Silent Script, per la band proveniente dal Kansas e guidata dall’abile chitarrista
Greg Wenk e dall’instancabile
Mark Zonder (un batterista che non ha certo bisogno di presentazioni!)
Rispetto al debutto
Threads Of Fatality di 3 anni or sono, lo stile dei Nostri è cambiato poco, ma si è fatto più maturo e convincente, come se tutte le inevitabili imperfezioni, tipiche di un esordio assoluto, fossero state attentamente smussate, alla stessa stregua di uno scultore che pazientemente leviga la materia grezza che, a sua volta, lentamente assume la forma e le sembianze che più gli aggradano.
Silent Script è un disco che porta avanti quella tradizione, tipicamente americana, nata in un glorioso passato, grazie ad artisti del calibro di Queensrÿche, Fates Warning e Crimson Glory, di un sound caratterizzato dal giusto mix di heavy metal e US power, sporcato da connotazioni progressive.
Sonorità che erano già emerse prepotentemente nel precedente album dei
Veritas, ma che adesso vengono consolidate, grazie ad una crescita musicale da parte di tutti di musicisti coinvolti, a partire proprio dall’ecletticità di
Greg Wenk che, col suo strumento, è in grado di passare, come se niente fosse, da partiture aggressive, evidenti in tracce come
Limit,
Creation Groans e
Somniloquy, ad altre più eleganti, spiccano a tal proposito
Buried,
Betraying Sight o
More Than I Can Say.
Molto più versatile anche il frontman
Denny “The Siren” Anthony il cui registro vocale, non si limita semplicemente a scimmiottare Todd La Torre, con cui le somiglianze sono comunque evidenti, soprattutto in brani quali
Grind Away,
Unchained e
Oxygen, ma dimostra una maggiore personalità, soprattutto sulle tonalità più elevate.
Nulla da eccepire per quanto concerne l’onesta prestazione di
Geno Alberico al basso, del resto, quando hai un drummer come
Zonder, tutto diventa più semplice, anche se, me lo consenta il buon
Mark, certe assurde sperimentazioni, in cui compaiono anche degli effetti campionati nel bel mezzo di un suo inutile assolo, presenti nella conclusiva
Modulate, poteva tranquillamente risparmiarcele.
Ma, al di là di queste inutili “sbrodolate ritmiche”,
Silent Script convince pienamente, per la sua capacità di non essere mai veramente scontato nel suo incedere, a cavallo tra strutture possenti e aperture melodiche sognanti e malinconiche.
Stesso voto dell’esordio, per quanto può contare (personalmente, odio ridurre un’intera recensione a un semplice numero, ma mi rendo conto che, purtroppo o per fortuna, è la prima cosa che un lettore nota!) ma, mentre all’epoca scrissi che si trattava di un 7 tendente più al 6,5, stavolta parliamo di un 7 pieno, con la freccia rivolta verso l’alto!
Ben fatto
Veritas!