Circa tre anni fa avevo avuto l'onore ed il privilegio di ascoltare privatamente un promo che gli
Heimdall, alla ricerca di un contratto, avevano realizzato per farlo circolare tra le label europee. Vista la deriva attuale che ha preso la nostra amata musica, sempre più tesa alla mera logica commerciale tra suoni plasticosi e ragazze avvenenti ma assai poco interessate al metal, non ero assolutamente certo che la band dei fratelli Calluori avrebbe trovato un soddisfacente accordo ma di una cosa ero sicuro: che, se mai fosse uscito, anche autoprodotto, il prossimo sarebbe stato un album splendido.
E così è stato.
A distanza di tre anni da quel mini promo ecco arrivare "
Hephaestus", sin dalla splendida ed epica copertina un monumento al metal più classico ed incontaminato, che meritatamente ha riscosso l'interesse della tedesca
Pride & Joy Music che gli assicura una più ampia visibilità anche a livello europeo. Ma le frecce a disposizione degli Heimdall per questo "Hephaestus" sono davvero molte, a partire ovviamente da otto brani tutti validi, nessun filler o momento di stanca all'interno dei 41 minuti di durata, peraltro un timing azzeccato senza perdersi in esagerate lungaggini.
Un altro punto di forza risiede nella voce di
Gandolfo Ferro, già protagonista nel precedente "
Aeneid" del 2013 ma allora arrivato a giochi fatti; qui i brani sono stati "costruiti" sulla sua ugola e la prestazione oltre ad essere maiuscola conferisce grande potenza e liricità a pezzi in pieno stile Heimdall, battaglieri ed arditi, anche grazie alla resa sonora...e qui arriviamo ad un altro punto forte dell'album.
La produzione è fatta "in casa" presso i
Sonic Temple Studio del chitarrista
Fabio Calluori e, chissà se proprio per questo, per fortuna non è allineata al sound sempre tutto uguale plasticoso e scintillante delle stranote produzioni europee; qui è piuttosto personale, dissimile, incentrato sulle chitarre senza precludere la presenza significativa di tastiere comunque sempre importanti nel loro trademark come nella veloce ed evocativa "
Spellcaster", una delle migliori del lotto insieme alla terremotante "
Masquerade", in cui come sempre sugli scudi ci sono l'incredibile solismo del "solito"
Carmelo Claps e la furia di
Nicolas Calluori dietro le pelli, la splendida "
The Runes" e "
Power" che ci rimanda perlappunto ad un classico power metal di stampo italico di metà anni '90 (chi ha detto Domine?) quando questo genere era il portabandiera del nostro intero movimento.
Insieme alla semi-ballad dai toni romantico/drammatici "
Till The End Of Time" il buon Gandolfo raggiunge il proprio climax nella cover conclusiva della celeberrima "
The Show Must Go On" dei
Queen, che ben si adatta al songwriting eroico di un disco come "Hephaestus".
In 25 anni di carriera gli Heimdall, tra cambi stilistici e di lineup, hanno sempre inciso album degni di nota e con una propria precisa identità, ma non ho alcun timore nel ritenere "Hephaestus" tra le loro migliori prove, senza dubbio all'altezza del debutto "
Lord of the Sky" che li lanciò nell'Olimpo - tanto per rimanere in tema - dei grandi nomi del classic metal italiano...e non solo.
Bentornati!