Mentre mi apprestavo a scrivere queste righe mi sono accorto di aver recensito tutti i full length dei
Sorcerer e mi sono quindi chiesto che cosa mai avrei potuto raccontarvi di nuovo, di interessante per descrivere la loro l’ultima fatica,
Reign Of The Reaper.
In effetti la band svedese è una delle formazioni che negli ultimi anni ha saputo meglio costruirsi un sound riconoscibile, caratteristico, ma questo non significa necessariamente che la loro proposta sia stantia, anzi, ogni loro lavoro ha sfumature differenti da quello precedente.
Se
In the Shadow of the Inverted Cross è stato un esordio in grado di mescolare in modo equilibrato le componenti classic e doom, con
The Crowning Of The Fire King la voce di
Anders ha poi preso definitivamente la scena con le sue melodie a guidare canzoni arrangiate con molta attenzione, pur rimanendo lineari. Con il successivo
Lamenting of the Innocent si è alzato ancora il livello, la teatralità delle composizioni ha raggiunto nuove vette, così come l'abilità di creare atmosfere sinistre e, di pari passo, è aumenta la cura per i dettagli.
Reign of the Reaper è un nuovo capitolo nell'esplorazione di un sound sempre più atmosferico dove l'epic doom dei nostri diventa la base su cui narrare storie orrifiche, fatte di atmosfere sulfuree, sinistre sensazioni e dove l'onda sonora si arricchisce ancor più di tastiere, cori, archi che vanno a sottolineare i passaggi che hanno bisogno di maggiore pathos e ad aprire squarci di buio dove speranza e gioia non albergano.
Una vera e propria opera rock.
La voce di
Anders durante l'ascolto rimane un crocevia prezioso al quale potersi sempre aggrappare per tornare a respirare, per prendere ossigeno, grazie alla sua potenza vocale e alle sue melodie che sono sì sofferte ma sempre più brillanti e “positive” rispetto all'oscuro panorama sonoro che i validissimi musicisti riescono ad inscenare.
Si sente spesso, infatti, questo stacco nella costruzione delle canzoni che mantengono tinte scure, rabbiose, dense, almeno fino al momento del ritornello o della strofa. Qui
Anders riporta poi una nota gentile con la sua “malinconia positiva”, per poi fare un passo indietro e lasciarle ripiombare nell'abisso o lasciare che siano scosse da assoli funambolici.
Ecco, mi soffermo un attimo sulle chitarre che svolgono un lavoro magistrale, magnifico nell'arricchire il sound con piccoli ricami, linee azzeccate, nel trovare sempre soluzioni interessanti, sia in fase elettrica che acustica, ma che (come già accaduto con album precedenti) in occasione degli assoli mettono improvvisamente il turbo cambiando completamente il mood del momento, squarciando la canzone, mostrando lo shredding e dando a volte la sensazione che siano quasi esibizioni di forza incollate sopra. A volte eh, non sempre. Finché parliamo dei musicisti prendo qualche riga per elogiare anche l'operato di
Richard Evensand alla batteria. Ecco, parlavo poco sopra di cura negli arrangiamenti, bene, il drummer riesce a impreziosire e ricamare con il suo lavoro le canzoni in modo divino e, senza mai andare oltre, è in grado di arricchire con fill preziosi le composizioni nei momenti giusti ed è realmente un appagante sentirlo suonare.
Come piccola nota a margine, mi allargo un po' e confesso che mi piacerebbe vedere questi ragazzi uscire un attimino fuori dai binari che hanno creato. Mi spiego. I
Sorcerer sono stati abili nel costruire un tipo di suono riconoscibile e che gli riesce davvero bene ma mi piacerebbe sentire un paio di pezzi in tracklist in cui osano qualcosa, in cui creano un pezzo più diretto, incisivo ed energico, uscendo da quella patina di “morbidezza” che avvolge tutte le loro canzoni. Mi piacerebbe sentire la potenza di cui sono capaci e che ci fanno intravedere solo in certi momenti.
Tornando a
Reign Of The Reaper, è evidente come i
Sorcerer abbiano pian piano fatto il salto passando dal comporre canzoni a sé stanti da rinchiudere poi in un album, al comporre vere opere musicali con una visuale globale dell'intero lavoro e dove il livello di scrittura, di emozioni, l'attenzione per ogni dettaglio e le sensazioni che sono in grado di trasmettere sono assolute.
"
Morning Star" è uno dei più bei pezzi sentiti quest'anno, 6 minuti di perfezione in musica che volano via; l'horror-doom di "
Reign of the Reaper" non è certo immediato ma ti rapisce, "
Thy Kingdom Will Come" è come una nera coperta che arriva a scaldarti in notti gelide; "
Eternal Sleep" mi ha ricordato qualche atmosfera di King Diamond; "
Curse of Medusa" sa essere cazzuta con chitarre ciccione che si contrappongono ad un ritornello più arioso; "
Unveiling Blasphemy" è lenta, cadenzata, cambia spesso passo si possono sentire controcori a una o più voci distanti, quasi come fossero l’eco di una presenza, come fossero anime; "
The Underworld" arriva dopo tre canzoni non semplici da digerire ed è quello che ci vuole: strumentalmente potente e che si contrappone a un ritornello melodico, diretto e facile da ricordare; "
Break of Dawn" mostra ancora arrangiamenti di livello superiore su un pezzo lento ed atmosferico.
Reign Of The Reaper non è ovviamente un album "pronti-via", richiede il suo tempo e va ascoltato con concentrazione mentre ogni canzone deposita pian piano il suo ricordo. In chiusura va sottolineato come la produzione scelta (ad opera ancora una volta di
Ronnie Björnström) sia perfetta per udire e godere in modo preciso ma organico della stratificazione di suono creata dalla band.
Scegliete posti in platea, in galleria o nei balconi: Reign Of The Reaper va in scena e vi consiglio di prendere un biglietto.