Nel convulso e frenetico panorama discografico attuale, qualcuno potrebbe chiedersi perché, invece di concentrarsi sulle nuove uscite, decidere di trattare “
Something that your eyes won’t see” a quasi un anno di distanza dalla sua pubblicazione.
A beneficio dell’eventuale lettore
cavilloso affermo che non si poteva proprio evitare di segnalare il debutto dei
Remedy, in grado di rendere il gruppo svedese (ma dai …) una delle vere rivelazioni della scena melodica internazionale.
Impossibile, infatti, tacere ulteriormente sulle qualità di una
band che piomba (era già successo con Nestor e GATC …) tra i miei ascolti senza un grande
battage e conquista istantaneamente la mia attenzione di consumato (
ehm, anche in senso letterale …)
melomane, in virtù di una freschezza e di una vivacità espressive davvero (av)vincenti.
Nei solchi dell’albo troverete tutti gli elementi costitutivi tipici del genere, ma come i suoi migliori frequentatori contemporanei (H.E.A.T., Eclipse, W.E.T., Work of Art, Perfect Plan, Nestor, …) hanno ampiamente dimostrato, anche il più irriducibile dei
cliché può essere declinato con personalità e carisma quando è amministrato dalle “mani” giuste.
Si tratta di “organi” posseduti da personaggi piuttosto esperti (il fondatore e
leader Roland Forsman ha scritto per
Joe Lynn Turner, One Desire e Crazy Lixx e anche gli altri membri della
band vantano esperienze professionali di un certo rilievo), e se aggiungiamo il contributo compositivo di
Sören Kronqvist (autore e musicista dal
curriculum sconfinato) e la presenza di
Lars Säfsund (Work of Art) ai cori e quella di
Erik “Re Mida” Martensson al missaggio e masterizzazione, appare chiaro come la brillante ed erudita sensibilità artistica esibita nell’opera non sia per nulla fortuita.
Trovare momenti deboli in questi quarantun minuti di favolosa musica è veramente arduo e quando un disco di questo tipo inizia con due scintillanti frammenti di
hard melodico chiamati “
Living on the edge” e “
I wanna have it all”, l’interesse può dirsi catalizzato fin dal primo contatto.
Arrivati a “
Marilyn”, con le sue modulazioni armoniche splendidamente
ottantiane e il coro oltremodo adescante, le virtù e la classe dei
Remedy non possono essere messe in discussione nemmeno dal più esigente degli appassionati e il bello è che l’atmosfera drammatica e suggestiva di “
Scream in silence” offre un’altra intrigante sfumatura di un
songbook scintillante e di uno spiccato gusto melodico, capace di conferire un’intensa carica romantica a “
Sundays at nine” senza incorrere in sterili manierismi.
“
Stranger” nonostante la bella grinta può essere definito il momento maggiormente interlocutorio di una raccolta che con la crepuscolare (e Rainbow-
iana) “
Thunder in the dark”, la pulsante “
My devil within” e la vagamente
power-osa “
Sinners and saints” riprende a generare prorompenti scariche emozionali, l’indicatore incontrovertibile di una prestazione
monstre.
Lo
slow “
Lifeline” è la degna conclusione, edificata su una forma tanto rigorosa quanto attanagliante di passionalità, di un
album che merita un’ampia e capillare esposizione, consegnando i suoi autori all’
élite degli esordienti “ad alto potenziale”, destinati alla
Gloria di un settore musicale sempre più competitivo e affollato.