Dove eravamo rimasti?

Eh, più o meno eravamo rimasti qua e qua, ossia a oltre 4 anni fa, quando Valentino Francavilla entrò nei nostri radar per non uscirne più.
Fu un colpo di fulmine quindi? Sì, a conti fatti direi di sì.

E, per inciso, mi sento di affermare che quell’infatuazione non solo ha resistito alla prova del tempo ma è cresciuta e si è consolidata, dimostrando che all’epoca ci avevamo visto giusto.

Certo, stando a quella prima intervista avremmo dovuto avere "Midnight Dreams" tra le nostre mani già una vita fa, ma insomma sono successe cose, che peraltro vi raccontiamo, insieme a tanto altro, in questa nuova intervista, e quello che oggi abbiamo tra le mani è un disco maturo, scritto, suonato, cantato, arrangiato, prodotto da lui in prima (ed unica) persona (sì, lo ha rifatto: esattamente come per il debutto Valentino si è occupato di tutto, dalla A alla Z).

Un disco che però non è solo maturo: è bello, proprio bello.

Uno di quelli che, se ti piace il metallo classico sincero e non artefatto, costruito non solo su parole, musica e confezione ma su valori, passione e fede, non può che scaldarti il cuore.

Ora, volendo potrei pure mettermi qui ad esaminare ogni singolo momento ed ogni singola sensazione, raccontandovi ad esempio del mio sorriso di piacevole sorpresa durante i primi 20 secondi dell’intro che sarebbero perfetti per una scena di duello in un western di Tarantino, o del godimento a ritrovare non solo intatti ma pure perfezionati quei suoni che sembrano arrivare in via diretta dagli anni ’80, facendoci fare un salto indietro di qualche lustro, o ancora della sapiente alternanza tra canzoni dai ritmi decisamente incalzanti ed altre che, non perdendo un grammo di incisività, si collocano su coordinate meno sostenute; potrei evidenziare l’eccezionale lavoro di chitarra, che peraltro emergeva in modo prepotente già nel debutto ma che si è ulteriormente impreziosito grazie allo studio, alla pratica e all’esperienza (magari non tutti lo sanno ma dal 2019 il nostro è il chitarrista solista degli White Skull, da annoverare senza dubbio tra gli storici portabandiera del metal italiano); potrei lodare il gusto per la melodia e la volontà, non scontata, di proporre soluzioni che si sono arricchite rispetto all’esordio e comunque brillano per la loro immediatezza, ed è risaputo che arricchimento da un lato ed immediatezza dall’altro sono concetti difficili da maneggiare perché è un attimo perdere l’equilibrio e valicare la linea oltre la quale si trasformano, rispettivamente, in autocompiacimento e banalità; potrei sottolineare come Valentino abbia curato ed affinato la tecnica vocale, raggiungendo oggi una resa che ha poco da invidiare a cantanti di livello e che, unita a tutte le altre componenti, gli ha permesso di compiere un evidente salto in avanti in termini di bravura, di consapevolezza, di messa a fuoco.

Ma non lo farò oltre quanto ho già abbozzato, perché penso che la scoperta sia una delle cose più belle per chi, come noi, ha ancora fame di musica non solo fatta con sentimento, ma che rende felici quando la si ascolta.

E qui ne abbiamo a pienissime mani.