I
Generation Steel sono alfieri del Metal teutonico (ma non solo...) e si sono formati in tempi piuttosto recenti dal chitarrista
Jack The Riffer (ex Bullet Train ed ex-Dead Man's Hand), al quale si sono aggiunti il bassista
Michael Kaspar (ex Squealer), il chitarrista
Pascal Lorenz (ex Oscura), il drummer
Martin Winter e il cantante
Mario Ullrich. Sono poi arrivati piuttosto velocemente all'esordio, "The Eagle Will Rise" prodotto da
Uwe Lulis (ora negli Accept ma che aveva avuto un ruolo importante per il comeback dei Grave Digger) e uscito per la Pure Steel Records.
Il nuovo album, "
Lionheart", esce invece per la
El Puerto Records (etichetta fondata dal chitarrista di Brainstorm, Torsten Ihlenfeld) e, ancora sotto la guida di
Uwe Lulis, vede i
Generation Steel muoversi sulle precedenti coordinate musicali, fortemente influenzate da gruppi come Accept e Iron Savior, con in più un pizzico del Thrash degli Overkill, che mi pare di cogliere già nell'opener "
Baptized in Sorrow" o su "
Executor".
Si rivela più quadrata e teutonica la seguente "
Bloodrage", nuovamente impreziosita dal basso di
Kaspar, mentre la titletrack parte sparata e spedita, con un approccio accostabile a quello dei Metal Church dove lo stesso
Ullrich che mi ha ricordato non poco Mike Howe. Come già lasciato intendere anche la seguente "
Executor" mostra un'indole thrasheggiante e vede
Jack the Riffer lasciare le briglie alla propria chitarra; quindi, l'intro effettato di "
Wastelands" prelude a un episodio scandito e spigoloso ma non particolarmente avvincente, così come la seguente "
The Lost and the Damned", per quanto entrambe siano ben affrontate da un
Mario Ullrich che si rivela interprete in grado di svariare senza andare fuori giri. A dare una bella scossa all'album arriva la vivace "
Forevermore", ben incalzata dalla sezione ritmica e con le chitarre a dare delle rasoiate, saettanti ed affilate, al suo tessuto musicale. Nuovo giro di ruota ed ecco altre atmosfere a rispondere all'appello: quelle cadenzate e più oscure di "
The Ripper", altra gran bella prova d'assieme dei cinque musicisti tedeschi che nell'occasione sembrano ispirati dai connazionali Grave Digger. Con "
Left Alone" si riprende a correre, ma più che i 100 metri sembra di essere ad un 3000 siepi, dove gli ostacoli sono piazzati tutti a livello del refrain, un po' slegato dal contesto e dove per la prima volta incrociamo un
Ullrich in difficoltà. "
United" riscatta però ogni incertezza, una canzone deflagrante che sotto le mazzate telluriche di
Christian Hauske e le sciabolate dei due chitarristi ci sospinge sino al termine del disco, che si chiude su un brevissimo arpeggio.
Nell'imminente tour di supporto all'album, al fianco di Manimal e Mentalist, i
Generation Steel dovranno rinunciare (per problemi di salute) a
Mario Ullrich che sarà sostituito da Chris Richter (Cruzader e Stay Hungry). Nell'augurare a
Ullrich una pronta e completa guarigione, aspettiamo di vedere se la formazione tedesca verrà per qualche data live anche dalle nostre parti, per testarne il valore anche dalle assi di un palco.
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