Basta con ‘sti progetti della Frontiers Music!
Smettiamola con il frenetico “rimescolamento” del suo roster!
Non ne possiamo più dei dischi in cui è coinvolto Alessandro Del Vecchio, è impossibile che la “qualità” vada di pari passo con la “quantità”!
Sono solo alcune delle prevedibili (rese in forma un po’ edulcorata …) critiche mosse alla
label italica e alla sua “passione” per le cooperazioni eccellenti, in effetti forse apparentemente un po’ troppo sfrenata.
Poi, però, ascolti “
Return me to light”, risultato della collaborazione tra
Michael Sweet (un altro che, in aggiunta agli Stryper, a collaborazioni non scherza affatto … Boston, Iconic,
Sweet & Lynch, Sunbomb, …) e “l'instancabile”
Alessandro Del Vecchio e ti rendi conto sempre di più di quanto i pregiudizi (magari alimentati pure da un pizzico d’invidia …) siano difficili da sconfiggere, anche di fronte all’evidenza.
L’albo di debutto dei
SoleDriver, questa la denominazione scelta per il prestigioso connubio (supportato dal batterista
Michele Sanna), è una collezione di ottime canzoni, scritte bene, suonate egregiamente e interpretate con
verve e il giusto trasporto emozionale.
Scoprire che
Alessandro si è occupato anche di tutte le chitarre, incrementa ulteriormente (!) l’elenco delle sue straordinarie
hard skills, all’interno di un accurato, vibrante e raffinato crogiolo sonoro, figlio dei “testi sacri” del
rock melodico, ma non per questo sgradevolmente
routinario.
Il cantato di
Sweet, calibrato e intenso, incornicia composizioni intrise di gusto innato per la melodia e per la seduzione sensoriale, evidente fin dall’
opener “
Rise again”, incisivo esempio di frammento sonico elegante e drammatico, impreziosito da un egregio
refrain.
“
Anymore” risente dei suggestivi influssi del
class-metal più languido, ammantandoli di spiritualità, mentre “
Pieces of forever” è forse la prima “vera” manifestazione della spiccata coesione tra i due prestigiosi protagonisti dell’opera, con i cori e la linea chitarristica che si amalgamano in maniera assolutamente persuasiva e coinvolgente.
“
Hope’s holding you” dimostra come, grazie all’intelligenza al
feeling profuso, la nobile ispirazione
adulta (in questo caso di natura Journey-
ana) possa ancora funzionare piuttosto bene, nello stesso modo in cui la crepuscolare “
Spinning wheel” sfrutta ad arte un’altra sfumatura della medesima blasonata sorgente espressiva (stavolta evocando Foreigner e certi Whitesnake) per costruire un pezzo avvolgente e accattivante.
Il piano battente e il crescendo emotivo di “
Out of the dark” piaceranno sicuramente ai
fans di Jefferson Starship e Toto, e ai nostalgici delle spigliatezze
ottantiane sembra dedicata “
Eternal flame”, in cui una vaporosa melodia “di maniera” riesce comunque a lusingare i sensi.
La bella grinta concessa “
To be saved” non permette al brano di andare oltre una “ordinaria” piacevolezza d’ascolto, spazzata via dalle entusiasmanti cromature satinate della
title-track dell’opera, un altro episodio in cui il “matrimonio” tra luminari del settore appare celebrato sotto i migliori auspici.
Impressione confermata anche dalla struttura armonica magniloquente di “
Soul inside” e dalle inquietudini non artefatte di “
Wounded”, una ballata dagli accenti lirici quasi
gospel che chiude in
gloria il programma di “
Return me to light”.
Chi avesse deciso di “condannare” i
SoleDriver solo perché i suoi componenti sono artisti “iperattivi”, prolifici e navigati, farebbe bene ad ascoltare la loro proposta con attenzione e “mente libera”, scoprendo che esperienza, cultura, carisma e un pizzico di scaltrezza non mortificano necessariamente l’efficacia di un prodotto musicale.