La fauna del
rock n’ roll è popolata di numerosi grandi
Felini, variegati per foggia, colore e provenienza.
Normalmente, però, visto il contesto, è il loro “ruggito” a fornire un contributo significativo all’immaginario di riferimento, rappresentando la metafora del modo possente, fragoroso e intimidatorio con cui i suddetti tentano di emergere nella giungla del settore.
Ora, sorprende un po’ che in tale affollato
habitat ci sia anche una
Tigre Silenziosa … come mai ha deciso di stare “zitta”? È intenzionata ad aggredire l’astante senza preavviso? O, forse, nella peggiore delle ipotesi, non ha nulla da “dire”?
Ok … accantoniamo queste
ehm … “fondamentali” riflessioni preliminari e passiamo senza ulteriori indugi all’ascolto di “
Twist of fate”, che scopro essere il secondo
full-length dei
Silent Tiger, formazione per due terzi honduregna (il chitarrista
Jean Funes e il batterista
Joel Mejia) e per un terzo statunitense (il cantante
David Cagle).
Con il contributo di un paio di ospiti prestigiosi (A
ndreas Passmark dei W.E.T. e
Mikael Blanc dei Degreed) il gruppo si esibisce in un
rock melodico d’estrazione (nord)europea, che si propone d’interessare soprattutto chi apprezza “gente” come Art Nation, Wildness o gli stessi Degreed (tra l’altro il
missaggio dell’albo è appannaggio di
Mats Ericsson).
Il “problema” è che nonostante un certo buongusto e le discrete qualità tecnico/interpretative, la musica dei nostri appare un po’ troppo prevedibile, lineare e epidermica, costruita su un
songwriting che raramente soggioga i sensi in maniera importante e duratura.
E allora diciamo che all’interno di un programma complessivamente abbastanza gradevole, finiscono per rimanere in qualche modo impressi solo il
refrain arioso di “
Last of the true believers” e le melodie suggestive di “
Wings of a dream”, “
Escape from the fire”, “
Place where I belong”, “
Remember who you are” e dell’enfatica “
Another destination”.
Alla prova dei fatti, dunque, non mi rimane che concludere la disamina di “
Twist of fate” classificando al momento i
Silent Tiger come un “mammifero artistico” dal carattere oltremodo mansueto e addomesticato, che non riesce a far sentire chiaramente la sua “voce” a causa di una timidezza compositiva che nel limita l’incisività in una scena melodica fatta di
predatori ben più temibili e ruggenti ... urge la capacità di saper sfoderare gli artigli.
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