Ogni albo dei
Madder Mortem rappresenta una sorta di “sfida” alle formule consolidate e i loro estimatori (troppo pochi, rispetto al valore della
band …), pienamente consapevoli di tale assioma, attendono con ansia di comprendere dove i norvegesi li condurranno con la nuova fatica discografica.
E allora, diciamolo subito, “
Old eyes, new heart” non eleva il
Rock ad un “nuovo” livello creativo, confermando però i nostri come uno dei gruppi già maggiormente fantasiosi e visionari dell’intero scenario artistico contemporaneo.
La musica dei
Madder Mortem scorre ancora una volta all’interno un flusso schizofrenico, fascinoso e imprevedibile di sensazioni, vibrando di straordinaria intensità emotiva e mescolando incubi
Lynch-iani, inquietudini
gothic, ossessioni
nu-metal, orrori
doom-death e ancestrali scansioni
psych-blues, il tutto coagulato da una forma di espressività che vorrei quasi definire “accessibile”, intendendo il termine in un’accezione obliqua, nervosa e drammatica.
Tutti aspetti rilevabili nella più recente produzione del gruppo e che nel nuovo disco trovano un’importante sublimazione, attraverso un’esposizione potente e profonda, in cui la voce di
Agnete M. Kirkevaag è la "solita" viscerale, camaleontica e ammaliante protagonista.
Difficile, come di consueto, descrivere efficacemente le volubili coordinate sonore dell’opera … si passa con estrema disinvoltura dalla rituale solennità di “
Coming from the dark” alle pulsanti e vorticose collisioni soniche di “
Master tongue”, attraversando la livida ballata “
On guard” (una spirale
dark-blues di enorme suggestione) e il rosario sgranato nella fosca “
Cold hard rain”.
Altrove, vedasi “
The head that wears the crown” (vagamente SOAD-
iana), “Unity” (una specie di Jefferson Airplane
meets Muse) e “
Towers” (non lontanissima da certi Tool) la melodia acquisisce maggiore importanza, mentre "
Things I’ll never do” è forse complessivamente il pezzo meno efficace della scaletta, nonostante l’attraente
groove apocalittico.
A conclusione delle (fatalmente parziali) notazioni sui contenuti dell’
album, aggiungo la mia ammirazione per la digressione
folk-psych “
Here and now” e un pizzico di perplessità per le atmosfere distese e sognanti di “
Long road”, brano gradevole ma un po’ troppo “prevedibile”.
“
Old eyes, new heart” dimostra che i
Madder Mortem hanno ormai raggiunto una compiuta e solida maturità espressiva, rafforzando ulteriormente il ruolo di straordinaria realtà (lo ribadisco, eccessivamente “sommersa” ...) di un genere musicale di non facile catalogazione … qualcuno lo chiama
post-metal, ma visto che nutro una particolare idiosincrasia nei confronti del prefisso “post”, preferisco parlare di
progressive metal, in rispetto al primigenio concetto di anticonformismo insito nella suddetta tassonomia … spero che nessuno se ne abbia a male…
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