Ogni tanto nella vita c'è bisogno anche di gradevoli conferme, di un qualcosa su cui sai già cosa aspettarti, una sorta di comfort zone. E un po' seguendo le direttive e il percorso presentato anni prima da band come Anvil, U.D.O., Raven, e poi in tempi più odierni da Ram e Haunt (almeno in termini di attitudine, e non prettamente di genere musicale), tornano gli spagnoli
Iron Curtain, i quali si erano presentati già lo scorso anno con l'EP 'Metal Gladiator' che doveva servire da antipasto dopo la pausa legata al periodo del Covid-19. La nuova fatica, intitolata
'Savage Dawn' e introdotta da una copertina che ci fa già capire cosa ci aspetta musicalmente, tra uno scheletro pronto a fare piazza pulita a colpi d'ascia, giubbotto di pelle, e metallo sparso un po' dappertutto, è quanto più classico di quello che ci si può aspettare. L'album è pura adrenalina, non finendo mai di premere il piede sull'acceleratore, e puntando molto sull'effetto nostalgia negli animi di chi è rimasto legato a quel suono tipicamente 80's in bilico fra l'heavy e lo speed metal, che difficilmente lascia spazio a sorprese o stravolgimenti, ma che tra riff energici, pezzi brevi ma di impatto e una band in piena forma regala gran bei momenti.
Un quartetto ben affiatato apre le danze andando con estrema versatilità dalle più catchy
'Gypsy Rocker' o
'Evil Is Everywhere', sopratutto in quest'ultima dove anche grazie alle chitarre si sente un approccio più melodico che non stona con il resto, a una
'Rattlesnake' che, al contrario, è totalmente 'in your face'. Un merito va anche alla produzione, a cura di
Javi Félez, che è riuscito a dare al disco quell'aura vintage pur rimanendo nella contemporaneità, ed ormai essendo membro effettivo della band proprio in questo campo sin dal loro primo full length, si può dire che sappia come svolgere alla perfezione il proprio ruolo. Un po' un peccato per la voce di
Mike Leprosy, sgraziata e molto secca, priva di quella potenza che ben si sarebbe adattata alle canzoni presenti, e che spesso in presenza di un buon ritornello (
'Jericho Trumpet (Stuka)') è un po' un peccato non trovarsi un timbro capace di esprimere al massimo le potenzialità del pezzo in questione.
Ma probabilmente pretendo troppo per una pubblicazione che, proprio negli intenti, vuole suonare come un vero e proprio inno agli anni 80', anche nei suoi difetti. E forse a volte è meglio così, anzichè trovarsi tutto perfetto, lindo e impeccabile...anche eccessivamente.
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