Terzo albo per I teutonici
Lazarus Dream, che per l’occasione arricchiscono il valente
core-team Schulz / Pfeffer con i competenti servigi di
Markus Herzog (Double Crush Syndrome, Cherie Currie, …).
Il gruppo, com’è noto tra gli estimatori dell’
hard melodico, ha già dato prova di possedere, oltre a una notevole perizia tecnica, anche la capacità di scrivere e interpretare brani di egregia fattura e se in passato a zavorrare l’efficacia della
band era stato soprattutto qualche eccesso di “ridondanza”, questo “
Imaginary life” appare più “centrato”, in cui il rifarsi ad alcuni
cliché ampiamente collaudati produce buoni effetti emotivi, allontanando tanto il fastidioso
déjà entendu quanto la smodata dispersione dei temi.
Una “roba” da consigliare innanzitutto a chi apprezza Evidence One, Pink Cream 69 e Jaded Heart, ma che a tratti sconfina anche in territori maggiormente
progressivi, ampollosi e melodrammatici, dimostrando di saper gestire una certa “varietà” espressiva senza smarrire oltremisura la direzione, come accaduto talvolta in passato.
L’introduttiva “
The sweetest chaos” si affida, così, alla tradizione dell’
AOR nordamericano, esagerando appena un poco nel gonfiarla d’enfasi, mentre andiamo decisamente meglio con la successiva “
Vulture’s cry”, una sorta di Dream Theater
meets Dokken di notevole suggestione.
Buone notizie arrivano anche dalla grintosa “
Rebel again”, dalla cromata e ariosa “
My imaginary life” (
guitar solo courtesy of Stephan Lill dei Vanden Plas) e dalla crepuscolare “
Beauty among the ruins”, in cui
Carsten si “traveste” da
David Coverdale, confermando la sua propizia duttilità vocale.
Giunti a “
Disaster love” si comprende più chiaramente che i
Lazarus Dream sono sulla strada giusta per rendere le loro melodie meno “prevedibili” e se il risultato non è ancora pienamente esaltante, lo “sforzo” è certamente apprezzabile, così come non spiace il tocco Thin Lizzy concesso a “
Vertigo” e il
pathos non stucchevole di “
My prayer”, pulsante e intensa fusione tra Bon Jovi e Pink Floyd.
La grinta di “
Drink my blood” e la teatralità di “
Empire of thorns”, entrambe un po’ “forzate” nell’economia dell’opera, rimandano la memoria alle perplessità già emerse durante l’ascolto dei lavori precedenti, sebbene mitigate da una migliore focalizzazione complessiva.
“
Imaginary life” è disco abbastanza piacevole e godibile, che colloca i
Lazarus Dream su un promettente percorso espressivo, in grado di esaltare pienamente le loro dotazioni specifiche, di certo tutt’altro che ordinarie.
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