A volte ritornano, citando un celebre racconto di sua tenebrosità
Stephen King; dopo ben 34 anni di stop ecco tornare i thrashers
Atrophy.
La formazione statunitense torna con un album le cui lancette temporali sono ferme al periodo del massimo fulgore del genere, ovvero epoca 1983 – 1988 e non è che questo sia un male.
Sia chiaro non si tratta di una band di “dinosauri” che cerca di ritagliarsi un briciolo di posto al sole godendo dei fasti riflessi, la band guidata dal veterano
Brian Zimmerman vuole solo travolgere tutto con del buon thrash metal senza compromessi.
Si parte col botto con due fucilate come “
Punishment for all” ed “
High anxiety” e sembra che il tempo non sia passato; scapocciamenti, riffing serrati, tempi veloci con rallentamenti messi appositamente per sfruttare la bordata successiva e solos melodici come se piovesse, una gragnuola ben assestata e nel mezzo la voce scartavetrante del buon
Zimmerman.
La produzione a cura del buon
Alex Parra è potente e non troppo pulità, forse volutamente un pochino retrò ma ci sta.
Ah proposito, nella song “
American dream” dal piglio beffardo c’è pure l’ospitata speciale del compare
Kragen Lum degli
Heathen che fa un solo da brividi.
In questo terzo album non si corre solamente, c’è anche un mid tempo possente e groovy come “
Close my eyes”, brano oscuro e cupo che fa percepire una vena amara.
Disco non solo per gli amanti del più puro thrash, ma che potrebbe piacere a chi ama l’heavy senza fronzoli e che va dritto al sodo, bravi tutti.
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