Nel macrocosmo della scena musicale attuale, dove il “riciclaggio” non è sempre una pratica virtuosa, esistono (poche) formazioni capaci di rileggere in maniera costruttiva le radici del
rock n’ roll, riuscendo nell’impresa di rimanere fedeli ai sacri dogmi, senza per questo sprofondare nelle paludi del luogo comune.
Tra questi “eletti”, ci sono sicuramente i
Rival Sons, fervidi interpreti dell’
hard classico made in the sixties / seventies, autori nel 2023 di ben due (splendidi)
album, il cui valore non poteva proprio passare sotto silenzio sulle pagine della
webzine più
gloriosa del globo terracqueo.
Recuperiamo, dunque, innanzi tutto la disamina dell’ultimo “
Lightbringer”, in quanto lo ritengo perfetto (anche in misura maggiore del “complementare” “
Darkfighter”) per sottolineare come il merito principale del gruppo americano sia quello di saper scrivere e interpretare “belle canzoni” in quanto tali, mettendo quasi in secondo piano il grandissimo lavoro strumentale e ispirativo che le alimenta.
Insomma, se anche voi pensate che, al di là di ogni altra valutazione critica, in fondo la musica abbia come obiettivo superiore quello di attivare i dispositivi emozionali dell’ascoltatore, converrete con me che rimanere indifferenti di fronte allo splendore di “
Darkfighter” (fin dal titolo, una sorta di “filo rosso” con l’albo precedente) è francamente impossibile, almeno se Led Zeppelin, CSN&Y, Yes e Procol Harum detengono tuttora un posto di rilievo nel vostro cuore di
rockofili.
Nove minuti scarsi di
hard-blues,
folk e
prog che imprigionano l’ascoltatore forti di un’ispirazione scintillante e di un potere evocativo che cancellano con un deciso colpo di spugna ogni eventuale addebito di pavido “citazionismo”.
Le chitarre
fuzzy e il battito pulsante di “
Mercy” fomentano la quota
groovy del programma, poi rimpinguata dal focoso clima
blues n’ soul di “
Street life” (piuttosto affine ai The Black Kyes), mentre “
Redemption” allenta i toni con una torpida ballata talmente “radiofonica” da poter addirittura “quasi” sfidare “gente” come gli Stereophonics sul loro terreno preferito.
“
Before the fire” è, con la sua melodia avvolgente e magnetica e una prestazione straordinaria di tutta la
band (in particolare
Jay Buchanan e
Scott Holiday) un altro dei gioielli sonori più sfavillanti dell’opera, così come si avvicina parecchio a tale prezioso appellativo la conclusiva “
Mosaic”, uno
slow elettroacustico levigato e bucolico intriso di tangibile
pathos.
I
Rival Sons sono nella loro fase di piena maturità espressiva e “
Lightbringer” è un “moderno”
classic rock album, in grado di sollevarsi imperioso sopra buona parte della marea di produzioni similari che intasano la discografia contemporanea.
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