Credo che la mia eterna gratitudine per quanto prodotto dai
Rage nella loro lunga carriera sia nota ai più; vi ammorbo le gonadi da oltre dieci anni e l’ho ripetuto spesso.
Sono piuttosto anziano ma non mi fermo a celebrare il solo periodo aureo della creatura di
Peavy (’88-’98) ma ne ho anzi apprezzato le diverse sfaccettature ed i cambi di direzione che si sono succeduti negli anni: dall’era
Smolsky, alla LMO, al ritorno ad un sound del passato con
Marcos Rodriguez.
Vi avevo raccontato tutto in
un lungo video che trovate qui.
Ecco, quando invece si parla della più recente incarnazione dei
Rage (2020-2024) divento molto tiepido. Non nascondo la delusione per il precedente
Resurrection Day e per
Wings of Rage ma ho affrontato il nuovo
Afterlifelines a mente completamente aperta, della serie “vediamo che hanno combinato a ‘sto giro”.
Ho parlato di un nuovo album ma, in realtà, l'ultimo lavoro è un doppio disco ed esce in concomitanza con il quarantennale di attività della band tedesca. Non solo, il primo CD ha un contenuto classicamente metal nello stile consolidato dei
Rage, mentre il secondo CD contiene composizioni orchestrali realizzate insieme alla celebre
Lingua Mortis Orchestra.
Insomma,
in un mondo che punta su playlist e singoli brani, i Rage se ne escono con un doppio album. E questo dopo aver ririririri-cambiato formazione e cercato di svecchiare il sound verso lidi più groove con le ultime due pubblicazioni. Non so come finirà però hanno la mia curiosità, vedremo se riusciranno ad avere anche la mia attenzione. Questo è stato il mio commento (scritto a dicembre scorso) in occasione dell'annuncio di
Afterlifelines.
E quindi, direte, com’è questo lavoro?
È una doppia figata o una doppia ciofeca?
Le composizioni orchestrali sono a livello del magico XIII o del bellissimo
LMO?
E il lato metal è quello più classico ripescato dal passato, oppure hanno continuato il trend groove e un po’ moderno del precedente album?
Eh, facciamo ordine.
Intanto, oltre che nei due dischi,
Afterlifelines può essere ulteriormente diviso e spezzettato, come se
Peavy e soci avessero voluto differenziare epoche, stili e proposte attraverso uno schema e dando ordine al tutto.
Abbiamo quindi la parte iniziale del primo CD (dalla intro "
In the Beginning", fino a "
Dead Man's Eyes") in cui i
Rage ci propongono canzoni con uno stile molto tradizionale, fatto di composizioni dirette, asciutte e con una costruzione che ben conosciamo. Sto parlando di un riffing d’impatto, vagamente thrashy, con un lavoro tellurico di batteria, elementi che si contrappongono ai ritornelli aperti, melodici e canterecci tipicamente made in
Peavy.
Devo dire che fa piacere sentire come i
Rage si siano quasi liberati dal peso di dover unire l’anima metal a quella sinfonica, badando solo a pestare in modo ignorante e riuscito, relegando sofismi, sinfonie e armonizzazioni nel secondo disco. Si sente un pochino di freschezza che sembrava perduta, anche se lo schema costruttivo è piuttosto ripetitivo.
In questa prima parte la qualità dei pezzi è abbastanza convincente, il songwriting ben rodato e
Peavy sa di volta in volta caratterizzare i brani con buone melodie vocali, anche se le sue capacità canore cominciano ed essere limitate e meno trascinanti di un tempo. 60 anni e oltre 26 album hanno lasciato il segno sul signor
Wagner e per questo- lo confesso- ho provato un po’ di malinconia.
Dopo questa prima sezione, proseguendo l’ascolto si incontrano un paio di brani ("
Mortal" e "
Toxic Waves") che dimostrano un pesante tocco moderno che mi ha ricordato un po’ gli
InFlames di Clayman, con chitarroni ribassati e stoppati unti a melodie trasversali e riff groovosi. C'è anche spazio per qualche sporadico growl (non solo in queste due canzoni). Dicevo, sono brani che nel ritornello si aprono in modo un po’ forzato e ci mostrano un
Peavy che non ce la fa e -VI GIURO- quasi mi metto a piangere in un mix di delusione e rammarico per quello che non c'è più. Dall'altro lato, stimo la sua determinazione perché continua a fare sempre la sua musica. Non ce n’è, ma lui è ancora lì.
Ad ogni modo,
Bormann sembra trovarsi più a suo agio su composizioni come queste che nel vergare canzoni old style. Su
Resurrection Day erano presenti due chitarristi, ce n’era uno di troppo e funzionavano la metà. Certo,
Jean negli assoli non brilla mai particolarmente, non ha il genio di
Manni, non butta fuochi d'artificio come
Victor ma tutto sommato svolge un lavoro apprezzabile.
Le quattro tracce finali del primo disco mostrano alti e bassi e devo dire che questa scrittura moderna che hanno adottato non snatura troppo il loro stile. Non succede come con il precedente album che dava l'impressione di essere un lavoro vuoto, spinto in una direzione non a fuoco. Ora le varie sfaccettature si uniscono in un songwriting rinnovato, più strutturato, seppur non esente da problemi, anzi.
A volte i ritornelli (tipo su "
Justice Will Be Mine") fanno quasi male,
Peavy è senza voce e si ostina con i vari
oooh oh ooohdove si percepisce lo sforzo e il fatto che non sia a proprio agio. "
Shadow World" ha un sapore moderno e quasi industrial ma evidenzia un ripetersi di soluzioni, strutture, schemi che a volte prestano il fianco. "
Life Among the Ruins" esibisce invece una struttura un attimino diversa, ma la voce di
Peavy non gli consente più di ricreare la magia di cui era capace un tempo, la sua prestazione fuori tonalità e senza grinta stride.
Finisce così il primo CD di
Afterlifelines che in 40 minuti totali, tra cose buone ed alcuni scivoloni, riesce comunque a garantire un certo piacere all'ascolto manifestando parzialmente una rinnovata vitalità.
Veniamo ora al secondo disco e, ve lo dico subito, i primi secondi mi hanno illuso e mi sono sentito preso per in giro. Il motivo è che la partenza ha qualche assonanza con il vecchio e mai troppo lodato XIII ma l’illusione -appunto- finisce subito e si scontra con una amara verità:
questo disco sinfonico è uno schifo.
Se in passato i
Rage sono stati maestri nell’unire partiture orchestrali al loro tipico power tedesco bilanciando, compensando, unendo perfettamente le due anime del loro sound, beh, qui siamo al disagio più totale per uno dei peggiori lavori degli ultimi anni, subito a ruota delle bestialità dei
Virgin Steele.
Perché, volete sapere? L’unione della parte metal e quella sinfonica è totalmente forzata, avviene in modo sgarbato e non aggiunge nulla a pezzi che potrebbero benissimo funzionare senza orchestra.
La viola, l’oboe, i violini, il pianoforte non vanno a sottolineare, supportare o enfatizzare passaggi o melodie ma interferiscono con la resa della canzone provocando un impasto sonoro disturbante, come se questi inserti fossero buttati a caso per tappare qualche buco o incollati a forza per contratto.
Quando va bene, siamo in presenza di un dozzinale brano symphonic-power di una band minore a caso ma, nella quasi totalità dei casi, ci troviamo di fronte a una situazione in cui stona fortissimo interazione tra gli strumenti elettrici, l’intervento degli strumenti classici e la struttura del brano.
Più volte sono stato costretto a skippare per evitare il mal di testa.
Verso il termine di questo abominio -perché non trovo altro termine- mi sono fermato e sono andato a riascoltare XIII, LMO, Strings To A Web perché, ho pensato: “sono solo io che me li ricordo così belli oppure lo sono davvero? I pezzi di quei dischi erano realmente ben fatti o è la mia mente che -persa nel tempo- vive di questo ricordo?”. La conclusione è che erano davvero album grandiosi ed è inconcepibile come la stessa band (ok, diversi componenti sono cambiati ma il timone sappiamo a chi sta in mano) abbia aggi assemblato questa... roba.
Deo gratias abbiamo il penultimo brano, "
Lifelines", che giustifica tutta questa sofferenza; bisogna “solo” avere la pazienza di andare avanti con l'ascolto e affrontare le tracce senza finire le bestemmie. Questa canzone -da quasi dieci minuti- riesce
finalmente ad ospitare l’interazione tra i due mondi (sinfonico e metal) in modo riuscito. Il ritornello e diverse porzioni sono tutte sulle larghe spalle di
Peavy ma è innegabile che il brano si sviluppi bene, in modo equilibrato e con un finale in crescendo, più metal e aggressivo.
Concludendo,
Afterlifelines offre una prima parte tipicamente metal, altalenante nella resa ma che la sufficienza se la porta tranquillamente a casa. Certo, ammesso che siate propensi ad accogliere un approccio musicale che non è più quello degli anni ’90 o di metà ’00.
La seconda parte, invece, è gravemente insufficiente per tutti i motivi che ho lungamente descritto.
Se siete estimatori dei
Rage ascoltate il primo CD e ignorate il secondo. Se eravate fan della band ma li avete abbandonati nel tempo, beh, saltate a piedi pari questa pubblicazione e crogiolatevi nel ricordo di quello che hanno saputo fare in modo grandioso per tanti lunghi anni.