Recensione a cura di Franz "Demiurge" Cutugno.Soundgarden, 30 anni di Superincognito.
Senza voler affatto sminuirne il valore storico e culturale, l’8 marzo non è solo la giornata internazionale della donna ma anche la data in cui ricorre l'anniversario del maggiore
successo del quartetto di Seattle. Era l’8 marzo 1994 quando infatti venne pubblicato
Superunknown, l'apice che, paradossalmente, avrebbe segnato il giro di boa della carriera dei
Soundgarden. Non l'unico giro di boa ma quello che ne avrebbe segnato pesantemente un “prima” e un “dopo”. In termini stilistici fu l'avvento al basso di Ben Shepherd in sostituzione di
Hiro Yamamoto(nel mezzo anche una fugace apparizione di
Jason Everman, vi dice niente questo nome?) a segnare il salto in avanti dei quattro e scrollarsi di dosso la scomoda etichetta di “
Led Sabbath” e regalare agli ascoltatori quella perla, forse ancora troppo sottovalutata, che è
Badmotorfinger del 1991. Che però esce in un periodo “particolare”, i due mesi che hanno scioccato il mondo del rock: escono proprio in quel periodo il “
Black album” dei
Metallica (12 agosto), “
Ten” dei
Pearl Jam (27 agosto), “
Use your illusion I & II” dei
Guns'n'Roses (17 settembre), “
Nevermind” dei
Nirvana e “
Blood Sugar Sex Magik” dei
Red Hot Chili Peppers (entrambi del 24 settembre) ed è qui che il Superincognito dei
Soundgarden già si insinua perché
Badmotorfinger è disponibile nei negozi l’8 ottobre (ironia della sorte, l'uscita era programmata per il 24 settembre ma sei problemi di produzione hanno costretto l'etichetta
A&M a posticipare la data) e sebbene si tratti di un capolavoro, forse il vero capolavoro di
Cornell e soci, rischia quasi di scomparire in mezzo a tanta concorrenza, anche se poi il successo di
Nevermind avrebbe acceso una luce su Seattle di cui anche i
Soundgarden stessi avrebbero beneficiato.
Tre anni dopo una simile coincidenza, seppure più tragica, rischia di eclissare i quattro: mentre
Superunknown viene pubblicato l'8 marzo 1994, esattamente un mese dopo viene ritrovato senza vita il corpo di
Kurt Cobain. Trainati da un pezzo fortemente pop come
Black Hole Sun, grazie a
Superunknown i
Soundgarden riescono tuttavia ad affermarsi definitivamente non solo commercialmente ma anche artisticamente come gli alfieri della fronda del grunge più sperimentale: se i
Nirvana e i
Pearl Jam avevano trovato il successo grazie alla forma canzone e gli
Alice In Chains al contrario erano più fedeli a un suono capace di strizzare l'occhio al metal (pur con le deliziose chicche acustiche di
Jar Of Flies e
Sap), ai
Soundgarden va riconosciuto l'indiscusso merito di aver portato in cima alle classifiche di vendita anche una proposta musicale capace di andare ben oltre il semplice 4/4.
È un album che ha tutto: la forza di
Let Me Drown, la psichedelia in tempi dispari di
My Wave, la struggente depressione di
Fell On Black Days, il groove cadenzato di
Mailman, la classe della title-track, gli echi sperimentali di
Head Down, il pop di
Black Hole Sun, la potenza di
Spoonman, il mid-tempo di
Limowreck, la disperazione di
The Day I Tried To Live, la velocità spaccaossa di
Kickstand, la rabbia di
Fresh Tendrils, il magma rovente di
4th Of
July, l'escursione world music di
Half, la cupa chiusura di
Like Suicide (che, è bene precisare, non tratta di una triste premonizione).
Una scaletta che non ha neanche un errore, neanche un brano di cui faremmo facilmente a meno, 70 minuti di perfezione sonora. È un disco che racchiude tutti gli elementi della grandezza dei
Soundgarden tra melodie immortali e tempi dispari, accordature strampalate e linee di basso potenti. La stupenda versatilità della voce di
Cornell rischia quasi di eclissare le qualità di
Kim Thayil, le escursioni di
Ben Shepherd e la solidità di
Matt Cameron (probabilmente uno dei batteristi più sottovalutati). I
Soundgarden hanno segnato con la forza delle loro idee musicali una linea di ispirazione per tutto ciò che c'è stato da loro in poi, basta buttare un occhio su tante band Stoner oppure chiedere a
Jerry Cantrell che in un'intervista definì la conoscenza di
Kim Thayil e le sue accordature un momento di fondamentale importanza per l'evoluzione del suono degli
Alice In Chains.
L'album segna l'apice dei
Soundgarden che forse soffriranno la consapevolezza di trovarsi di fronte all’irripetibilità di un capolavoro. Negli anni successivi vedrà la luce il piacevole ma non trascendentale
Down On The Upside che vedrà una virata verso sonorità più digeribili dal pubblico oltre a un netto taglio di capelli dei quattro, tangibile segnale della fine dell'epopea grunge e di un'epoca d'oro per il rock e il metal più in generale. Rimane il profondo senso di angoscia per quello che è stato il triste epilogo che non ha potuto portare a una celebrazione sul palco dei 30 anni di questo capolavoro. 30 anni portati benissimo nonostante il tempo che passa, resistendo oggi come allora alle tentazioni della “loudness war” e imponendo la superiorità della proposta musicale sull'innalzamento dei volumi.
Sopravvivi in Superincognito.