Quant’è difficile lasciare un’impronta distintiva e significativa all’interno dell’affollato
rockrama melodico contemporaneo?
Moltissimo direi, e se essere “originali” è un’impresa pressoché proibitiva, la “sfida” principale diventa quella di entrare sulla medesima lunghezza d’onda dei venerabili campioni del settore e poi fornire una credibile trasposizione dei loro insegnamenti.
Ora, i
Cruzh hanno dato prova di essere sicuramente dei validi discepoli di Def Leppard, Bon Jovi, Danger Danger e Firehouse, ma è sufficiente un primo contatto con il loro terzo
album “
The jungle revolution” per rilevare come qualcosa nella loro strategia musicale sia cambiato, rendendo più vigoroso un canovaccio espressivo già piuttosto affidabile e competente.
Così, se oltre ai suddetti maestri, avete un “debole” per il
rock n’ roll adescante e ad elevato voltaggio promosso da “gente” come Hell in the Club, Crashdiet e Crazy Lixx, il mio consiglio è di non lasciarsi sfuggire l’occasione di farsi invadere dalle dopamine di marca Leppard-
iana attraverso la rampante
title-track dell’opera, per poi assistere ad un inasprimento del clima con lo
sleazy-anthem “
Angel dust” e in "
FL89” constatare il tentativo di emulazione, piuttosto riuscito, del ben noto strapotere seduttivo dei Nestor.
“
Killing in the name of love”, nonostante la bella linea melodica, non convince pienamente nell’assetto vocale, mentre “
Skullcruzher” sfrutta in maniera abbastanza efficace le assodate prerogative dell’
arena-rock d’estrazione Bon Jovi-
esque.
La spigliata e “radiofonica” (ma guarda un po’ …) “
At the radio station” lascia il posto alle cromature turbinose di “
Split personality”, seguite dalle pulsanti compenetrazioni
bluesy concesse a “
Sold your soul” e dalla passionale “
From above”, che consegna agli archivi un albo che conferma il valore dei
Cruzh, ma non li eleva ancora al rango di indiscussi aspiranti al
gotha del settore.
Come dite? All’appello mancano ancora due brani? Vero … ma francamente ritengo “
Winner” eccessivamente “celebrativo” (affetto da
bonjovite acuta …) e la greve e sferragliante “
Gimme anarchy” una sorta di “corpo estraneo” nell’economia di “
The jungle revolution”, un godibile groviglio di (parecchi) pregi e (taluni) difetti, in realtà per nulla “rivoluzionario” e tuttavia degno di una certa considerazione.
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