Dopo il disco di quattro anni fa “
The Ghost Of Orion” tornano gli alfieri del doom metal inglese gotico.
Se l’album precedente era figlio della situazione personale del frontman
Aaron Stainthorpe a causa della figlia gravemente malata, questo album è il risultato post pandemico.
I nostri fan già capire l’andazzo con la durissima ed oscura opener “
Her dominion” dove il cantante sfodera un growl profondissimo e colmo di dolore rabbioso con chitarre plumbee e aperture melodiche.
Un brano perfetto e colmo di pathos dove la formazione si esalta come nell’ottima “
Unthroned creed”; qui la voce si fa pulita e profonda con una base ritmica lenta, pesante ma con cambi di tempo ed un’atmosfera melanconica.
Il violino fa la parte del leone tracciando linee melodiche su di una base ritmica scura e senza speranza.
Altro pezzo eccellente è la lunga “
The apocalyptist” dove la band si divide tra melodia e granitica disperazione; il singer dosa abilmente toni sofferti e puliti a zampate rabbiose, il tutto su un tappeto strumentale che è carico di emozione e di puro doom metal.
Il folk salta fuori nella seguente “
A starving heart” con un arpeggio che è un richiamo verso epoche lontane ma è solo un barlume perché il tutto deflagra con riffing malinconici uniti a delle tastiere sullo sfondo ed una voce pulita profonda e carica di mestizia.
Il chorus è semplicemente perfetto con il violino che risponde alla richiesta vocale di
Stainthorpe.
La produzione a cura di
Mark Mynett che si è occupato pure del missaggio esalta tutte le peculiarità dei nostri.
Album bellissimo nella sua tristezza, da ascoltare in piena solitudine in compagnia di un buon bicchiere e con un cielo carico di pioggia a far da cornice; questo disco va dritto nella mia top di fine anno.
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