Pur avendo perso non solo gradualmente pezzi nella lineup, ma anche una qualità che, anch'essa un po' per volta è andata calando pur rimanendo, a parere di chi scrive, su livelli più che dignitosi, gli
Accept non arretrano e continuano il loro percorso fatto di heavy metal tetesco senza guardarsi indietro. Non c'è bisogno che spenda troppe parole per ricordare il comeback inaspettato della band ormai quindici anni fa con
Mark Tornillo alla voce, e che trovò in 'Blood Of The Nations' e sopratutto 'Stalingrad' il picco massimo della loro ispirazione, muovendosi anche sul fronte live in maniera egualmente esplosiva. Qualche punzecchiatura con Udo qua e là, arrivando come nelle migliori mosse di fantacalcio ad accaparrarsi
Peter Baltes al basso, mentre
Stefan Schwarzmann e
Herman Frank avevano già abbandonato nel 2014. Testardo come un mulo però,
Wolf Hoffmann cercò di tenere a galla gli Accept contando su nuovi innesti come
Uwe Lulis (ex Grave Digger) alla chitarra.
Tornano due chitarre in questa nuova release (anche se
Philip Shouse è ancora un membro della band, pur essendo temporaneamente fuori per motivi di salute), e devo dire che personalmente l'aggiunta di una terza fosse totalmente inutile almeno in studio, dato che in 'Too Mean To Die', almeno a livelli di sound e di compattezza dei riff, il risultato fosse uguale a quelli pubblicati prima. Tolta questa piccola critica però, devo ammettere di aver apprezzato non poco il disco del 2021 che, rispetto all'ancor precedente 'The Rise Of Chaos' risultava meno spompato e, che se contestualizzato ora, a distanza di 7 anni (diamine!) dall'uscita, la sua generale fiacchezza poteva essere data da problemi all'interno della lineup oramai risolti. Seppur il vigore e l'energia dei primi anni con
Tornillo si siano oggettivamente spenti, gli Accept hanno saputo mantenere integro il loro stile, sempre riconoscibile, con qualche capatina in territori ACD/DC (come anche in questo caso), ma fedeli al sound di una vita.
Dal punto di vista della produzione, niente sorprese.
Andy Sneap, presente con
Wolf e soci sin dal primo album della reunion, svolge sempre un egregio lavoro, assicurandosi che nessun strumento sovrasti gli altri o che suoni in maniera eccessivamente fiacca, dando al contempo grande importanza agli assoli, ma di questo ci arriveremo fra un attimo. Tematicamente parlando,
'Humanoid' riprende, in maniera più massiccia anche, il tema della tecnologia sempre più presente nel mondo odierno e dei lati negativi e positivi, tema già ripreso nel celebre 'Metal Heart' del 1985, e sporadicamente in molte canzoni del gruppo come la recente 'Analog Man' o in maniera simile anche su 'T.V. War', e anche la copertina non spreca i rimandi al disco sopracitato. Musicalmente invece, l'album si spacca fondamentalmente in due. La prima metà è quella sicuramente più efficace, passando dalla ottima
'Frankenstein', non troppo veloce ma con un ritornello decisamente convincente e che, come succede con
'Man Up' sembrano costruite appositamente per quando verrano trasposte in sede live. La Titletrack, per quanto punti più sull'aggressività nelle strofe, risulta essere un po' fiacca e lascia un po' il tempo che trova, anche se molte parti soliste di Hoffmann sono senza dubbio da lodare, come succede su
'The Reckoning' con un riff tipicamente
Accept.
[Copryright @Cristoph Vohler]
Si sente in qualche occasione che
Tornillo si sforzi un po' troppo e, contando anche l'età (vicino ai 70) è assolutamente comprensibile, e ad esempio su
'Mind Games' viene coadiuvato spesso da cori per non lasciargli tutta la fatica, mentre su alcuni mid tempo come
'Nobody Gets Out Alive', l'ex TT Quick riesce a ritrovare la sua forma migliore. Parlavo di ispirazioni alla AC/DC, ed ecco arrivare infatti
'Straight Up Jack', anch'essa sicuramente pensata più per la sua efficacia nei concerti dato il trascinante ritornello. Nota di demerito invece per
'Unbreakable', canzone che passa senza ferire, e che intende celebrare la fanbase della band, bella nelle intenzioni, ma abbastanza anonima. Ma uno dei punti più alti dell'album è senza ombra di dubbio la prestazione alla chitarra di
Wolf Hoffmann che seppur l'età avanzi, continua a non aver perso una briciola del suo talento nel costruire assoli sempre legati al classicismo, inteso sia nel metal ma anche nella musica classica in senso stretto (e qui consiglio anche l'ascolto del suo album solista uscito qualche anno fa), e che nei momenti dove l'attenzione sembra calare, riesce sempre a far tornare il tutto sui binari.
Un lavoro che non splende certo per originalità, ma a mio parere non è quello che ora, nel 2024, si deve chiedere a una band come gli
Accept che di capolavori ne hanno dati, e non solo negli anni 80'.
'Humanoid' è un disco che prosegue la scia intrapresa con il full length precedente, un ottimo heavy metal nella sua forma più pura, e che aggiunge un altro buon tassello alla discografia di una band icona del genere.