Dopo
We Who Light The Fire, il mini EP del 2019, che già aveva destato più di una perplessità nella nostra redazione, tornano i
Flamekeeper del polistrumentista italiano (emigrato in Svezia)
Marco S., con il loro vero e proprio debutto discografico, dal titolo omonimo, realizzato per la
Invictus Productions.
Il disco, caratterizzato da 9 tracce, nessuna delle quali supera i 3 minuti di durata, ci propone un insolito miscuglio di epic-folk nordico e power, decisamente disordinato e alquanto spiazzante, sia nell’approccio compositivo, sia nelle trame melodiche.
Tanto per darvi un’idea approssimativa del sound della band, immaginate (con le debite proporzioni ovviamente) una via di mezzo tra lo stile dei
Blind Guardian (quelli meno ispirati, a dire il vero) e quello dei
Bathory o, se preferite, degli
Ereb Altor (ma solo per le atmosfere create, non certo per l’aggressività, quasi del tutto assente), con un risultato finale assai poco convincente, visto che, purtroppo, i Nostri, oltre a non possedere chiaramente la classe, la creatività e l’intensità delle suddette bands, non riescono ad assimilarne armonicamente i principali elementi caratteristici.
Ne esce un album qualitativamente anonimo, piuttosto freddo e confuso nella sua concezione, alquanto visionaria, di cosa sia l’epicità musicale. Le composizioni di
Flamekeeper, nonostante le ambizioni della band, si rivelano piatte, lineari, banali e sembrano voler puntare tutto sulle loro maestose atmosfere, che però, non incidono, oltre che sui propri refrains, dal sapore vagamente viking, ma che, alla lunga, risultano troppo scontati.
A innalzare lievemente la qualità del disco ci pensa, a fasi alterne, la chitarra, che talvolta (si pensi a brani come
Us And Them, oppure a
As One With Light), si rende protagonista di assoli o passaggi dotati di una certa profondità, peccato solo che però, tali momenti, hanno durata brevissima, considerando che, come già detto precedentemente, le canzoni non oltrepassano i 3 minuti!
Insomma,
Flamekeeper è un album senza infamia e senza lode: troppo asciutto e distaccato per generare qualsiasi tipo di emozione, quindi per poter essere considerato epico; eccessivamente morbido e regolare nelle ritmiche, per essere definito power o, men che meno, black/death (viste le origini di
Marco S.), di cui, in questo lavoro, non v'è traccia alcuna.
Resta da premiare il tentativo apprezzabile (quello si), di voler creare una proposta musicale differente rispetto alle solite visioni tradizionali del genere ma, tale proposito, dovrebbe essere affinato, innanzitutto con un vocalist più espressivo, che possa valorizzare l’emotività di alcuni passaggi e magari, anche tramite un song-writing migliore e più intenso di quello attuale.