A chiunque mi avesse (eventualmente) chiesto su quali
bands “emergenti” avessi puntato il mio
radar di
rockofilo di “lungo corso”, selezionando sul fantomatico strumento lo spettro dedicato alle eccellenze in attesa di conferma,
beh, avrei sicuramente citato d’istinto i nomi di Nestor e
Remedy.
Ricevere nel corso del 2024 per entrambi il “segnale d’allarme” deputato al suddetto scopo, è stata una bella sorpresa e se per i primi la convalida della superiorità artistica è arrivata senza troppi patemi (nel giudizio di “
Teenage rebel” sarei stato più generoso del collega che mi ha “soffiato” la sua disamina …), ho impiegato un po’ di più per convincermi che anche “
Pleasure beats the pain” rafforzasse in maniera indiscutibile il ruolo di “nuovo prodigio” della scena melodica conquistato dai
Remedy con il debutto “
Something that your eyes won’t see“.
Un convincimento arrivato con una certa fatica, dopo svariati ascolti e qualche dubbio, e non perché il gruppo di
Roland Forsman, oggi accasato con la
Escape Music, avesse cambiato approccio stilistico o perso il suo brillante “tocco magico”, ma semplicemente perché non tutte le canzoni dell’albo mi catturavano allo stesso modo,
conditio sine qua non per meritarsi l’investitura appena esposta.
Per esempio, ho avuto qualche difficoltà nel superare il pizzico di manierismo scandinavo che aleggia su “
Crying heart” (coro “vichingo” compreso …) e “
Sin for me”, ma fortunatamente a rimuovere un bel po’ di barriere di artificiosità arrivano la melodia adescante di “
Moon has the night” (con un
refrain che piacerà pure a
Tobias Forge …) e soprattutto la delizia
adulta “
Angelina”, davvero appassionante per costruzione armonica e stratificazioni vocali.
Percezioni analoghe le riservano anche i favolosi chiaroscuri di “
Bad blood”, mentre a chi preferisce sensazioni più “forti” consiglio un contatto reiterato con “
Caught by death”, attestazione di come i crismi immarcescibili del
class-metal californiano possano essere felicemente assimilati anche nei pressi del Circolo Polare Artico.
“
Hearts on fire” e "
Poison” dimostrano invece quanto i
Remedy sappiano essere splendidamente “svedesi” senza per questo scadere nel formalismo, mentre “
Girl’s got trouble” tratta la sfruttata materia
hard-rock "classico" con spiccata vitalità.
Arrivati ad un altro “fondamentale” del settore, il brano lento e romantico, affiorano nuovamente le perplessità, dal momento che la pur piacevole
ballatona orchestrale “
Something they call love”, con le sue velleità
mainstream (per certi aspetti potrebbe piacere anche ai
fans degli ultimi Green Day …), non mi sembra pienamente all’altezza di un gruppo di questo livello, deputato in qualche modo a sostenere e perpetuare la nobile causa del
Rock Melodico negli anni a venire.
Insomma, forse anche a causa di un’eccessiva pignoleria o perché portato a caricare i
Remedy di una forma fin troppo gravosa di “responsabilità”, non è stato semplicissimo decidere di assegnare a “
Pleasure beats the pain” una valutazione analoga a quella del suo smagliante predecessore … alla fine, però, l’entusiasmo d’ascolto è scattato imperioso, decretando che le piccole riserve espressive non potevano incidere sulle ben più appariscenti qualità di un’opera che nell'insieme sorvola gran parte delle produzioni discografiche concorrenti e finisce per candidarsi con decisione per il primato annuale di categoria.