Finalmente, al quarto tentativo, a dispetto di un artwork che sa tanto di “plasticoso” (ma, non temete, è un falso allarme), gli
Orion Child sono riusciti a realizzare un disco totalmente convincente!
Aesthesis, uscito per la
Art Gates Records, ci propone la classica miscela esplosiva di prog-power, imbastardita da un pizzico di melodeath e, fin qua, niente di nuovo.
Eppure stavolta, a differenza di quanto accaduto negli episodi precedenti, il combo basco riesce nell’impresa di ripulire il proprio sound da tutte quelle imperfezioni che avevano reso i lavori antecedenti a questo, troppo farraginosi e discontinui, dando vita a un album più snello e coinvolgente, ma tecnico, corposo e anche armonico, nella struttura e nelle trame musicali.
Lo stile della band si è fatto più scorrevole rispetto al passato, grazie a linee melodiche più funzionali, e inoltre, presenta molta meno carne al fuoco rispetto a quanto era nelle corde della band ai suoi inizi; ne scaturisce una fluidità sonora che rende
Aesthesis, non un capolavoro, ma un disco sicuramente valido.
Gli
Orion Child forgiano il loro metallo con cuore, sudore e tanta dedizione alla causa, sulle orme di bands del calibro di
Symphony X, con tutte le loro varianti (
DGM e
Myrath in primis), dei nostri
Eldritch ma, in alcuni frangenti, gli spagnoli sembrano richiamare da vicino, i primi
Into Eternity (formazione in cui si è affermato il vocalist Stu Block), in modo particolare quando le trame prog incontrano partiture più death, con tanto di growl curato, come sempre, dal chitarrista
Jones (all’anagrafe
Oier Calvo), a cui fa da contraltare la voce pulita di
Victor Hernandez.
Egregia poi la prestazione delle tastiere di
Jon Koldo Tera (già nei Vhäldemar, da me soprannominati i “Gamma Ray di Spagna”), ma anche dell’altra chitarra di
Daedin Naikedesse, e infine, di tutto rispetto anche il lavoro della sezione ritmica, affidata a
Rafi (basso) e al nuovo drummer
Gabriel Barahona.
Aesthesis è un disco che conquista gradualmente, ascolto dopo ascolto; il livello qualitativo delle 10 tracce, attraverso cui si sviluppa, si mantiene sempre piuttosto alto, raggiungendo i suoi picchi compositivi in corrispondenza di brani quali la camaleontica title-track, la spigolosa
Reaching For The Stars, la trascinante
Forever o la maestosa
Prisoners Of The Past, che cala definitivamente il sipario di questa nuova fatica discografica.
Cosi, dopo 20 anni di dura gavetta e 3 dischi un pò confusi, che però lasciavano intravedere notevoli potenzialità, i baschi ce l’hanno fatta, finalmente e meritatamente!
Complimenti
Orion Child, meglio tardi che mai!