Mette una certa impressione pensare che “
Daimon, Devil, Dawn” sia un
debut album. Già, perché il livello di maturità e la cifra stilistica sfoggiati dai
The Other Sun parrebbero invece riconducibili ad una realtà già esperta e navigata.
E se si parla di stile, occorre sin d’ora evidenziare che la compagine svedese ne ha da vendere.
Fautori di un
sound oltremodo sfaccettato -che, per amor di chiarezza, non annovera certo il metal quale componente principale-, i Nostri compongono un affresco dalle tinte scure, malinconiche e contemplative.
Un affresco in cui un
groove meditabondo e psichedelico veicola immaginari sonori occulti e polverosi; in cui influenze a cavallo tra
Nick Cave,
Swans,
The Doors,
Ennio Morricone,
The Devil’s Blood e
Dick Dale rinvengono un insperato punto di incontro nell’ampio alveo del
revival rock.
E così, tra mantra dal sapore sciamanico, rimandi a colonne sonore anni ’70, tentazioni
surf, stralunate divagazioni strumentali sospese tra suggestioni
dark e
country, i
The Other Sun ci conducono per mano lungo un percorso sonoro colmo di fascino, benché talvolta dispersivo.
Dopo qualche ascolto, in effetti, emergono brani più ficcanti (l’iniziale “
Shaking Ground”, “
Horizon Between the Eyes”, “
Black as Gold”) ed altri, pur validi, in cui emerge un pelo di stanchezza (“
Lion Spell”, “
Pan”); la qualità di “
Daimon, Devil, Dawn”, tuttavia, si mantiene nel complesso alta e costante, altro pregio raro fra gli esordienti.
Ulteriore contributo alla causa giunge dalla cura per gli arrangiamenti, sì stratificati ma mai sovrabbondanti, e dai suoni, splendidamente analogici ed autentici come si conviene a release di questa natura.
“
Daimon, Devil, Dawn”, in definitiva, convince appieno, e pur inserendosi in un macro-filone
retro / nostalgico piuttosto affollato, riesce senza patemi a distinguersi, grazie soprattutto alla poliedricità ed alla solidità del
songwriting.
Se
Tarantino dovesse mai tornare a dirigere un
western, un pensierino alla musica dei
The Other Sun farebbe bene a spenderlo…
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