Devono essere davvero molte le idee che si affollano nel pensiero della “creatura” denominata Retrista: innanzi tutto quelle musicali, che evocano la dark wave, l’heavy metal, una dose infinitesima di grunge e una certa “tradizione” alternativo-romantica italica, e poi quelle squisitamente concettuali, che supportano ad arte con l’aiuto della nostra ricca madrelingua, l’ambientazione in continuo chiaroscuro, tra rabbia e quiete, alba e tramonto, sentimento e disagio “esistenziale”, che i nostri cinque della provincia padovana disegnano in questo loro sorprendente secondo dischetto dimostrativo.
Desta meraviglia, infatti, l’abilità con la quale i Retrista confezionano i loro brani, conferendo ad ognuno di essi una forza, una profondità e anche una maturità compositiva veramente apprezzabile, riuscendo a far convivere in maniera piuttosto naturale e piacevole tutte le varie suggestioni che compongono la loro esibizione artistica, sempre coinvolgente ed emozionante, evitando, e questo non può che essere considerato un gran merito, ogni qualsiasi forma di comoda e perspicua omologazione.
Il clima rimane prettamente carico di un pathos malinconico e fascinoso, creato dalle tastiere sulle quali s’innestano le chitarre ora sognanti ora poderose, e un bell’esempio di tale attitudine risulta essere l’opener “Il silenzio non esiste”, che avrebbe bisogno solamente di una coesione strumentale leggermente più solida e di una prestazione vocale più convincente, per poter conseguire quell’eccellenza, che in questo modo resta solamente ad un livello potenziale.
Molto suggestiva anche l’indolenza di “Nuvola di miele”, improvvisamente squarciata da armoniose aperture, quasi come se un tiepido ma vivido raggio di sole lacerasse questo particolare tipo di cumulonembo dalla singolare materia prima costitutiva, per poi richiudersi nelle stesse atmosfere che avevano dato inizio al brano.
Ottime, poi, la struttura in crescendo d’intensità di “Cielo sporco”, marchiata da una trascinante linea melodica e la disinvoltura e gli originali contributi pianistici di “Piccola gloria”, una traccia ancora una volta molto ben congeniata, la quale, volendo aggiungere nell’analisi il suo impetuoso strappo aggressivo e il guitar solo di buona fattura, dimostra che i ragazzi veneti non hanno indirizzato i loro ascolti in modo unidirezionale e hanno saputo cogliere tante sfumature diverse da ognuno di essi.
Qualche piccola riserva, a mio modo di vedere, è da ascrivere alla voce di Mirko, nell'insieme sufficientemente gradevole, tuttavia necessitante di una minima “taratura” d’intonazione, per poter davvero rendere al meglio delle sue possibilità.
Questo demo, oltre tutto gratificato da una registrazione abbastanza soddisfacente, ci consegna una band che va ascoltata con attenzione e le cui considerevoli intuizioni non possono essere trascurate; forse allo stato attuale non tutti i tasselli del mosaico sono esattamente al loro posto, ma l’immagine che già si riesce ad intravedere sa attrarre e conquistare in modo assai prepotente.

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