Sono passati ormai quasi dieci anni da quel "C​:​\​FIXMBR" che, quasi per gioco, ha dato inizio alla storia dei Master Boot Record di Victor Love, un gioco che nel giro di meno di due lustri li ha portati prima al prestigioso contratto con la Metal Blade e poi a continui tour in giro per il mondo.

Tutto questo grazie ad undici album, spesso un paio all'anno, tutti di altissimo livello, fondati su un synthwave/chiptune metal, quasi sempre totalmente strumentale, a parte un esperimento isolato su "Direct Memory Access" del 2018, che peraltro nella sua versione senza vocals rappresente a mio avviso il loro apice compositivo totale, insieme al primordiale "C​:​\​CHKDSK /F" del 2016.

Rispetto al precedente "Personal Computer" - ma direi in generale alla loro discografia - i cambiamenti non sono mai netti ne' tantomeno radicali, anzi ci troviamo di fronte al secondo album di fila che presenta un titolo scritto non in maiuscolo, "Hardwarez": a volte più mistici, con tramature epiche, a volte più freddi e violenti, quasi thrashy, i Master Boot Record confezionano un altro emozionante capitolo della loro discografia.

Un paio di brani come "CPU" e "GPU" (bellissimo questo viaggio nell'assemblaggio di un pc, partendo dalla scheda madre ed il suo bios fino ad arrivare al montaggio di alimentatore e case, e c'è anche spazio per l'obsoleto dischetto da 3,5") forse non all'altezza di quel capolavoro di "Floppy Disk Overdrive" non sono comunque sufficienti a scalfire il valore di "Hardwarez" che contiene uno dei brani migliori della loro storia, ovvero la memorabile "RAM", dall'incedere asettico ed allo stesso tempo trionfale.

Con la quale, come di consueto, assisteremo al trionfo delle macchine sull'uomo e della sintesi cibernetica sull'analisi umana.

Sarò noioso e scontato ma come sempre siamo di fronte ad uno dei dischi dell'anno.