Gli
Aptorian Demon, qui al loro secondo lavoro che segue a ben dodici anni di distanza il debut, ci propongono una forma cruda, e molto old style, di Black Metal che, per quanto mi riguarda, non sa bene dove andare a parare.
Cerco di spiegarmi.
Va bene essere "true" e devoti a quello che fu, ma proporre un album che, tolta una intro dal sapore occulto e due strumentali finali, una per sola chitarra acustica e l'altra per sola chitarra distorta, si compone di soli tre brani "veri", mi sembra francamente eccessivo, soprattutto perchè i pezzi in questione non è che siano chissà quale miracolo quando, tra registrazione caotica che mette "davanti" basso e piatti della batteria, riffing che rimanda ai grandi classici norvegesi, voce ora sguaiata, ora declamatoria, che qui e la rifà il verso ad Attila Csihar dei bei tempi, non riesco a trovare spunti davvero interessanti e quello che resta è una spiacevole sensazione di incompiutezza e songwriting frettoloso.
Tra l'altro, far passare dodici anni per scrivere un album così povero, sembra una bella presa in giro alla quale non ho voglia di sottostare.
Magari per qualcuno
"Liv tar slutt" sarà una sorta di culto, per me, invece, è tempo perso.
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